Che oggi esistano tanti rispettabilissimi italiani, da usare secondo la circostanza e anche lo strumento di comunicazione, sono prima di tutto i linguisti a insegnarcelo. E per fortuna anche con alcuni godibilissimi libri. Oltre ai prolifici e divertenti Della Valle e Patota (il loro ultimo libro ci mette alla prova con 1000 quiz!), segnalo soprattutto Val più la pratica di Andrea De Benedetti e il più recente Si dice? Non si dice? Dipende di Silverio Novelli.
Da un articolo di oggi del Corriere della Sera, Impariamo la lingua colloquiale, apprendo che ne sta arrivando un altro: Comunque anche Leopardi diceva le parolacce di Giuseppe Antonelli, conduttore della bella trasmissione La lingua batte su Radio3. Ecco il suo punto di vista dall’articolo del Corriere:
«La scuola e una certa mentalità puristica molto diffusa promuovono quella che Luca Serianni chiama lealtà linguistica che, per un certo verso, è anche positiva, ma non se comporta un conservatorismo, se propone un modello linguistico non spendibile nella realtà e quindi rifiuta anche quell’italiano che viene dall’universo telematico, dalle canzoni, dai fumetti. Calvino nel famoso intervento del 1965 spiega bene che cos’è l’antilingua, quella per cui si dice “ho effettuato” invece di “ho fatto”. Con il risultato che si può trovare un cartello in un bar, in cui c’è scritto: “Non si effettuano panini”».
La lotta è a quello che Antonelli chiama il «perbenismo linguistico», dove si corregge «sono andato» con «mi sono recato». Eppure anche i grandi scrittori usavano un registro colloquiale, per esempio nelle lettere, e infatti Antonelli sarà in libreria tra poco con una Libellula Mondadori dal titolo Comunque anche Leopardi diceva le parolacce. «Basta leggere gli epistolari di Carducci, Monti, ma anche di Canova e Crispi per esempio, per capire che avevano la capacità di usare lingue diverse, anche confidenziali. Bisogna far passare l’idea che conoscere la propria lingua non significa parlare come un libro stampato, ma possedere una varietà di registri linguistici da usare in varie situazioni. L’e-taliano va bene se è uno dei tanti, diventa preoccupante, se resta soltanto quello». Antonelli pensa che non sarà «un attimino» a rovinare la lingua italiana («a parte che Manzoni scrive: “si fermò un momentino sulla riva”») e neppure gli anglismi («in tutti i dizionari non sono più del due per cento e d’altronde nel Settecento la quantità di francesismi era altissima, poi sono caduti da soli»). La morte dei dialetti, profetizzata anche da Pasolini, poi non è avvenuta: «Nel momento in cui tutti hanno cominciato a parlare l’italiano, più o meno bene, hanno smesso di vergognarsi del dialetto che è morto forse nella sua forma arcaica, ma la dialettalità si è estesa».
È fondamentale approfondire questi temi, soprattutto ora che alla molteplicità delle circostanze in cui dobbiamo scegliere quale registro linguistico usare si aggiunge la molteplicità dei canali di comunicazione, molti dei quali “a metà” tra oralità e scrittura.
Io una lezione indimenticabile l’ho ricevuta alcuni anni fa da una grande linguista italiana. A Luisa Alteri Biagi, alla fine di una splendida e dottissima master lecture, uno studente improvvisamente chiese: “Ma professoressa, a casa, con i suoi nipotini, lei come parla?” L’anziana studiosa sorrise e si limitò a dire: “Naturalmente a casa mi metto le pantofole linguistiche.”
Ecco, mettiamola così: ci sono le pantofole, i birkenstock, le pedule, le sneaker, i tacchi a spillo linguistici. Per entrare e uscire da libri, email, social media e slide bisogna imparare a cambiarsi velocemente e con disinvoltura.
Vi va di aiutarci ad avviare questa raccolta di “perle” dell’antilingua?
http://antilingua.tumblr.com
sarebbi d’accordo, che già io lo dicetti da mò
Grazie.. Lo penso tutte le volte che leggo un tuo articolo, e non solo per le preziosissime informazioni che mi dai, ma anche per la tua generosità nel voler condividere pensieri e esperienze molto personali. Non lo si può scrivere sempre..ma almeno questo che valga per tutto il prossimo anno. Buon lavoro!
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