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risali negli anni

31 Agosto 2014

Le sforbiciate di Matisse

Fa bene vedere una mostra come Matisse Cut-Outs, che riunisce alla Tate Modern di Londra i collage realizzati dal pittore francese negli ultimi diciassette anni della sua vita.

Non solo perché è una mostra grandiosa, che mette insieme centinaia di opere di livello stratosferico, ma perché è costruita interamente intorno a un’idea, dal percorso fino all’app che ti puoi scaricare per ricordare la magia di quelle due ore. È un’idea che commuove: la felicità creativa può accompagnare un artista nei momenti più bui e difficili, persino crescere, se questi le va incontro ogni giorno con animo sereno e con lo stupore di un bambino.

Anche senza quei diciassette anni finali fatti solo di collage, Matisse sarebbe comunque un gigante dell’arte del novecento. È la malattia a portarlo oltre, a forzarne con gentilezza i limiti. Quando capisce di avere ormai una mobilità ridotta e di non poter più dipingere, comincia a ritagliare le forme nella carta, “nel vivo del colore”. E il cambio di processo e di materiale cambia tutto, dando inizio a una nuova stagione.

Matisse ritagliava anche prima, ma per preparare più facilmente la composizione di un dipinto: gli oggetti di carta potevano essere facilmente spostati per provare i diversi effetti prima di mettere mano al quadro.
Anche per i primi collage è così, e l’artista pensa di usarli per illustrare dei libri di poesie. In effetti la svolta avviene con un libro, Jazz. Le parole però sono quelle dello stesso Matisse, che non può fare a meno di raccontare scrivendo a mano in caratteri giganteschi – gli unici che riuscisse a vedere – la sua gioia di novello ritagliatore. Le ho lette tutte, quelle parole, perché il libro è interamente in mostra, pagina per pagina. Sono un inno all’amore, all’arte e alla vita.

Henri Matisse, Jazz, 1947

Matisse scrive perché i colori lo abbagliano e sente il bisogno di smorzarne la forza visiva ed emotiva con le parole. Talvolta neanche queste gli bastano e allora rimane al buio per giorni. L’impegno era grande. Ritagliare per lui significava disegnare, ma anche scolpire, scoprire le forme per via di togliere, senza sapere cosa avrebbe trovato. “Dipingere una rosa è difficilissimo”, perché l’artista deve dimenticare tutte le rose che ha visto nella sua vita. E così per tutti gli altri fiori, le rondini, i corpi di donna. Questo è lo stupore di Matisse.

Il passato in realtà riaffiora, ma in un’essenza trasfigurata. In questi diciassette anni ci sono tutta la vita e l’arte precedente. C’è il suo studio, dipinto innumerevoli volte, ma ora sono le pareti stesse a farsi opera e a riempirsi di ritagli: non potendo più muoversi, vi ricostruisce oceani pieni di pesci e cieli pieni di uccelli.

Henri Matisse, Polinesia, 1947

Insonne, inseguiva le idee e ritagliava in piena notte. Al mattino, i suoi assistenti trovavano fiori, danzatori o un sensuale profilo di donna. Matisse, infatti, non era solo e dalla sua poltrona dirigeva una piccola squadra. Gli assistenti dipingevano i grandi fogli secondo le sue indicazioni, lui ritagliava seduto o disteso con le grandi forbici tenendo il foglio verso l’alto con l’altra mano, poi gli assistenti salivano su una scala e con puntine da disegno disponevano i ritagli sulle pareti. Lui indicava dove e chiedeva di spostare fino all’equilibrio migliore.

Henri Matisse, Zulma, 1950

Al di fuori di quei giardini infuriava la guerra, dentro la malattia, ma niente sembra intaccare questo stato di grazia. A contatto con la concretezza della carta, l’arte di Matisse cresce fino a raggiungere proporzioni grandiose, vertici monumentali. Senza progetto, scoprendo giorno per giorno. A proposito di uno dei collage più famosi, La lumaca, disse di essere partito da una lumachina, di averla tenuta in mano e osservata fino a diventare lui stesso lumaca e infine sentire la forma “dispiegarsi”.

“Bisogna crescere insieme all’albero”: un detto cinese molto caro al vecchio e sorprendente Matisse.

Henri Matisse, La lumaca, 1952

2 risposte a “Le sforbiciate di Matisse”

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