Piramide rovesciata. clessidra, diamante… sono tanti i modelli che si possono adottare per ordinare le informazioni in un testo. In Lavoro, dunque scrivo! ho giocato con qualcuno di loro, ma ultimamente mi diverto a scoprirli anche all’interno di una piccola porzione di testo, magari un solo capoverso. Nei testi altrui, e qualche volta anche nei miei, dopo averli scritti di getto.
Un testo è sempre una piccola architettura percorribile, ma le sue forme – così come quella delle case – possono essere diversissime. La differenza con l’arte e la scienza architettoniche è che scrivendo difficilmente decidiamo prima quale sarà la pianta della casa. Lo “scrittore interiore” dominato dal nostro inconscio spesso la fa da padrone. Ma se ci affidiamo anche a lui, raramente sbagliamo. Per questo parlo di “scoprire” una forma, un modello: buttiamo giù il testo di getto, ma il bello è non fermarsi lì e capire perché ci piace e funziona così bene.
Se mi sto dedicando alle porzioncine è perché la lettura su smartphone e tablet porta a zoommare su di loro molto più di prima. Basta un gesto delle dita e un capoverso campeggia sullo schermo facendo scomparire tutto ciò che c’è attorno per diventare il protagonista assoluto.
Così qualche giorno fa ho esclamato “Ma questo è un imbuto!” leggendo questo testo:
In un giorno imprecisato del 1524, Marcantonio Raimondi, forse il più grande incisore dei suoi tempi, viene arrestato dalle guardie di papa Clemente VII e rinchiuso nelle carceri vaticane. È coinvolto in un crimine spaventoso e sporchissimo. Non si tratta di omicidio o furto, non è magia nera e neppure eresia. A quanto ci risulta, si tratta di un crimine nuovo, mai commesso prima. È accusato di quello che, con un termine moderno, chiamiamo “design”:
L’autore la prende alla larga, proprio come la bocca di un imbuto. Vi contribuiscono il ritmo sintattico disteso, le scelte lessicali (in un giorno imprecisato), il cominciare da un giorno di quasi cinque secoli fa. Inizia una storia.
L’imbuto si stringe, e la sintassi lo asseconda con una frase molto più breve della prima. Il crimine viene definito con soli due aggettivi forti, che accentuano l’attesa.
L’imbuto si stringe ancora di più, con una serie ritmata di scarti: non si tratta, non è, neppure… oddìo, cosa sarà mai?
L’imbuto si fa strettissimo e alla fine si concentra in una sola parola: “design”.
Ma siccome l’imbuto è un oggetto unico, funzionale e a suo modo armonico, la parola design con il suo aggettivo moderno si ricollegano a quel giorno imprecisato del 1524, chiudendo il disegno dell’oggetto.
Ogni tanto faccio da sola di questi esercizi, che mi fanno riflettere su come la sintassi contribuisca, con la sua sola forma, a creare un messaggio, persino un’atmosfera. Strumento per ordinare le parole sì, ma con un suo autonomo valore espressivo su cui non sempre ci soffermiamo.
E poi, lo confesso, era anche per cominciare a scrivere in una giornata in cui sono un po’ svogliata e per segnalarvi il libro cui questo incipit appartiene, che mi guarda tentatore mentre il dovere mi chiama. Un libro bellissimo, che merita un post dedicato nei prossimi giorni: Critica portatile al visual design. Da Gutenberg ai social network di Riccardo Falcinelli (Einaudi Stile Libero).
Ecco, ce l’ho fatta. Anch’io ho creato il mio imbuto.
Dico che in certi casi funziona. Non sempre, secondo me, la tecnica giornalistica della piramide rivesciata funziona. Alcune volte, per incuriosire – e per tenere un po’ sulle spine – il lettore, prenderla alla larga fa bene.
L’importante è che tutto si risolva in un paragrafo e non prosegua per 2000 parole. Siamo sempre nel web.
Il punto è in effetti che la forma può fare a meno della sostanza, ma non il viceversa.
E ciò per il semplice fatto che la forma é l’emanazione di una sostanza tacitamente acquisita attraverso diverse stratificazioni culturali.
Imbuto, ma anche spirale. L’uno riporta ad una conclusione quasi definitiva. L’altra restituisce proprio sul punto più profondo d’arrivo un’energia rinnovata da liberare per nuove ripartenze del segno.
Il disegno dello scritto, oltre il formalismo delle lettere, é un aspetto che definirei musicale, poiché rappresenta il motivo che permane dopo la comprensione della lettura. E per ognuno risuona un po’ diverso. Spesso è la sola cosa che ti rimane di un libro.
É accusato…
É?
Al centro dell’imbuto, per noi pedanti, c’è quell’accento sbagliato.
Quanta sofferenza inutile.
[…] Che ne dite di un testo a forma di imbuto? I geometrici labirinti sintattici di Maria Popova […]