Lo tenevo lì, questo tweet della Guida di stile dell’Economist, pronto per un post che ho rimandato di giorno in giorno e poi di settimana in settimana. È stato un periodo densissimo di lavoro, in cui mi sono dovuta concentrare sul fare lasciando da parte il leggere, navigare e riflettere, dai quali nascono sempre i post di questo blog. Poi una piccola vacanza in cui ho scelto di disconnettermi completamente, come faccio ogni tanto.
Ma sia le attività professionali – tante giornate in aula, l’editing del libro di un amico e un sito da completare, la programmazione autunnale – sia i miei giorni di fuga dal web sono stati sotto il segno del togliere il superfluo, del ripesare, del togliere peso.
Per cui il lapidario ma eloquente tweet dell’Economist per ricominciare ci sta proprio bene. Un rifugio sicuro è un rifugio, l’esperienza passata è ormai solo esperienza. E un omaggio gratuito? Solo un omaggio! Un intero insieme di cose, un semplice insieme.
Persino stamattina sono inciampata in un’applicazione concreta. Potrà mai essere astratta, l’applicazione?
Nel tempo sono diventata una maniaca nello strappare queste piccole erbacce dai giardini testuali:
singolo individuo
fase pilota iniziale
direttrici principali
basi fondamentali
esigenze specifiche
di colore rosso
focus particolare
principali priorità
in lingua inglese
della durata di sedici minuti
di natura riservata
di carattere confidenziale
protagonista principale
entro e non oltre
progetti futuri
storia passata
risultato finale
prerequisito necessario
al momento attuale
istruzioni operative
tre diverse sezioni
cinque diverse soluzioni
a partire dal 5 dicembre
nel corso del 2014
il giorno 31 luglio
Piccole erbacce, non erbe infestanti, e si potrebbe obiettare che una parolina o qualche battuta in più non fanno poi tutta questa differenza. Vero, non la fanno tanto per il testo, forse neanche tanto per chi legge. Ma la fanno sicuramente per chi scrive, perché ci abituano a fare attenzione, a pesare le parole, ad andare oltre gli automatismi e a esercitare la consapevolezza. Una disciplina e una pratica che una volta acquisita rimane con noi come una compagna fedele in tutte le nostre scritture, che aguzza la vista e raffina l’ascolto.
Nei miei giorni di disconnessione ho passato alcune ore solo a osservare il mio respiro e a reimparare a camminare lentissimamente, come se ogni passo fosse l’unico. Respirare e camminare sono due attività automatiche, che bisogno c’è di rallentarle e puntarci l’attenzione? Fino a non molto tempo fa lo pensavo anch’io, finché non mi sono abituata a provare la freschezza dello sguardo dopo un’ora ad occhi chiusi o la vividezza dei colori dopo una camminata al rallentatore. Vedi cose che prima non vedevi e provi sensazioni come se fosse la prima volta. Con le parole e la scrittura è un po’ la stessa cosa: chiamiamola la meditazione sulle parole. Sono a portata di mano, proprio come il respiro, anche sull’autobus o al supermercato.
Apprezzo molto quello che hai scritto: eliminare il superfluo e ascoltarsi. In questo momento avrei bisogno solo di questo: respirare, camminando lentamente.
Ti seguo sempre con molto interesse.
Parole zen. Dritte al cuore.
Bentornata, Luisa. Anch’io sostengo la battaglia contro la fuffa, le erbacce. Eppure non sempre chi legge comprende il valore della semplicità. Dommage!
Pensiamo di scindere le pratiche dello yoga dalla nostra vita quotidiana, mentre lo yoga è’ vivere con consapevolezza la nostra vita di ogni giorno. Fa la differenza quando la luce della consapevolezza illumina la nostra coscienza. In noi e fuori di noi. E brava la mia maestra di scrittura…Zen! 🙂
Si hai assolutamente ragione.Quando si pone attenzione sulla vita la vita risponde. E poi chi l’ha detto che le parole non fanno la differenza? A volte una parola in più o in meno confonde l’intento dell’autore e il lettore reinterpreta a modo suo.
Piacevolmente d’accordo con quello che scrivi. Eliminare parole superflue ripulisce il pensiero, io sono convinta che sia molto di giovamento anche per chi legge. L’inquinamento verbale confonde e affatica. Bel post, grazie 🙂
Consapevolezza. Fa la differenza, sempre. 🙂
No, scusate, ma questo inquinamento non solo non è grave, ma non mi pare nemmeno negativo.
Non viviamo in meditazione (purtroppo, da un certo punto di vista), perché vivere in meditazione comporta la necessità di analizzare ogni volta tantissime informazioni.
Normalmente le diamo per scontate, ma non è solo una procedura naturale, è anche funzionale alla vita!
le frasi fatte che sono state analizzate sono ridondanti e retoriche, ma permettono una lettura più scorrevole, la mente può scorrere più serenamente e ha qualche attimo in più prima di arrivare alla parola successiva – attimi preziosi se si vuole guadagnare tempo per capire davvero cosa si sta leggendo.
Meccanismi ingranati in un diffuso accordo sociale e linguistico – una ipnosi se vogliamo, ma ogni strategia che viene trovata ha un suo scopo, anche se non è subito evidente.
Non dico che riflettere sulle parole che usiamo non sia un esercizio meraviglioso (nel vero senso della parola), anzi – ho apprezzato tantissimo questo articolo e non potrò fare a meno di fare attenzione a tutti i casi citati quando li incontrerò.
Dico solo, per una mia abitudine inveterata, che è meglio buttare via l’acqua sporca poche gocce alla volta, piuttosto che buttare via anche solo un pezzo del bambino immerso.
Io invece sono pienamente d’accordo con Luisa e ho apprezzato molto questo post, che ancora una volta mi apre gli occhi su quanto poco liberi siamo, nello scrivere e perfino nel parlare.
In spiaggia o ai tavoli di un bar vi è mai capitato di ascoltare i discorsi dei passanti o di chi vi sta vicino? Un proliferare di frasi fatte, di battute trite e ritrite riprese per lo più dalla tv o dalla pubblicità. Io trovo questa “ipnosi sociale e linguistica” terribilmente inquietante perché non può che portare a piattume linguistico e a omologazione, anticamera della morte della creatività.
Quindi ben venga ogni forma di consapevolezza, nello scrivere e nel parlare, perché sintomo di intelligenza e umanità, “arma” contro il sempre più dispotico linguaggio delle macchine.
Apprezzo e sono molto d’accordo con Luisa su questo richiamo alla consapevolezza nella scrittura.
Vi segnalo l’interessantissimo articolo sul numero di luglio di Mente e Cervello “Meglio e pensarci su” a proposito della funzionalità del pilota automatico..ovviamente interessante per chi si occupa di consapevolezza
Bellissimo post. Me lo stampo e appendo come memo. Per le parole raddoppiate di senso, appesantite (infestate di erbacce 🙂 ma anche per il richiamo alla calma, al togliere, al sottrarre per allegerire. Nemmeno ora che scrivo riescoa farlo lentamente.
Bisogna proprio staccare con tutto, anche per poco.
Non mi dilungo. Grazie per la condivisione.
Come diceva anche MUNARI:
“Complicare è facile, semplificare è difficile”
Le erbacce di cui parli sono una ridondanza di cui si fa un eccessivo uso purtroppo.
Sento spesso nei telegiornali “risolse di fatto” (o simili): altra erbaccia (*_))
Bellissimo, ma chiedo, se possibile, un consiglio. Tante volte mi trovo ad aggiungere parole inutili per la seo. Indicano (gli anglofoni) 300 parole minimo. In italiano sono tante, o è un’idea mia?
[…] testo, che so: una dislocazione linguistica, un termine aulico d’effetto, un tecnicismo, associazioni di parole superflue e inutili… Ecco: non farlo. Non […]
[…] più semplice, lessico più ricco Caro vecchio Guy Meditazione sulle parole, lì dove capita Pieno di cose, ma di poche parole Le ristrettezze della rete e gli orizzonti del […]