Come molti, sto seguendo da qualche settimana il racconto che la scrittrice Jhumpa Lahiri sta facendo sull’apprendimento della nostra lingua sulle pagine di Internazionale. Genitori bengalesi, madrelingua inglese, premio Pulitzer per la narrativa a 32 anni, vive a Roma da alcuni mesi dove sta realizzando un sogno che coltivava da giovanissima: imparare l’italiano.
Leggere il suo racconto a puntate significa guardare la nostra lingua da una prospettiva diversa, piena di amore e di meraviglia. Una meraviglia che appartiene a ciascuno di noi quando studiamo con passione una lingua straniera. Il racconto di questa settimana mi ha conquistata e ne riporto il brano più bello:
Quando leggo in italiano sono una lettrice più attiva, più coinvolta, anche se più inesperta. Mi piace lo sforzo. Preferisco le limitazioni. So che mi serve, in qualche modo, la mia ignoranza.
Nonostante le limitazioni, mi rendo conto di quanto l’orizzonte sia sconfinato. Leggere in un’altra lingua implica uno stato perpetuo di crescita, di possibilità. So che il mio lavoro, da lettrice, da apprendista della lingua, non finirà mai.
Quando ci si sente innamorati, si vuole vivere per sempre. Si vagheggia che le emozioni, l’entusiasmo che si prova, duri. Leggere in italiano mi provoca una brama simile. Non voglio morire perché la mia morte significherebbe la fine della mia scoperta della lingua. Perché ogni giorno ci sarà una nuova parola da imparare. Così il vero amore può rappresentare l’eternità.
Ogni giorno, leggendo, trovo delle parole nuove. Qualcosa da sottolineare, poi trasferire sul taccuino. Mi fa pensare al giardiniere che strappa le erbacce. Così come il giardiniere, so che il mio lavoro in fin dei conti è una follia. Qualcosa di disperato. Quasi, direi, una fatica di Sisifo. Non è possibile, per il giardiniere, controllare alla perfezione la natura. Allo stesso modo non mi è possibile conoscere, per quanto voglia, ogni parola italiana.
Ma tra me e il giardiniere c’è una differenza sostanziale. Le erbacce, per il giardiniere, non sono qualcosa di desiderato. Sono da sradicare, da buttar via. Io invece raccolgo le parole. Voglio tenerle in mano, voglio possederle.
Quando scopro una nuova parola in italiano, un modo diverso per esprimere qualche cosa, mi meraviglio. Provo una specie di estasi. Le parole sconosciute rappresentano un abisso vertiginoso, fecondo. Un abisso che contiene tutto ciò che mi sfugge, tutto il possibile.
Mi ha riportato alla mente i miei tanti taccuini, che ancora conservo. Mi ha ricordato quanta della mia passione per il linguaggio e la scrittura debba allo studio di lingue diverse dalla mia, e soprattutto alla più amata di sempre, il tedesco, cui dedicai un post tantissimo tempo fa, agli albori di questo blog: Alla lingua tedesca.
Su questo blog leggi anche:
Al di sopra delle lingue, qualche bella scoperta
Indiane
Jhumpa Lahiri is back
Cara Luisa, che dire? Imparare una lingua straniera è un viaggio culturale e musicale meraviglioso, soprattutto, a mio avviso, quando si riesce a parlarla in modo sciolto e spontaneo. Di viaggi ne ho fatti diversi: l’inglese fu amore a prima vista, poi il tedesco con le sue certezze strutturali e grammaticali (anch’esso tuttavia con la sua musicalità), quindi fu la volta del simpatico e allegro spagnolo e ora sto apprendendo il sensuale portoghese. Leggere ti fa apprendere la lingua nelle sue sfumature e scrivere, ovviamente, è molto più difficile, ma ho capito che la gente ti perdona qualche errore se parli la loro lingua col cuore.