
Il nuovo libro di Mario Calabresi mi ha veramente emozionata. Il direttore della Stampa ci sorprende con un tema inaspettato che però – ce lo dice nell’ultima pagina – è una sua passione fin da ragazzino: la fotografia.
A occhi aperti è una galleria di ritratti e di storie: dieci grandi fotografi raccontano il mondo negli ultimi cinquant’anni e soprattutto la passione della loro vita. Quella passione che ti porta necessariamente vicino, a stretto contatto con le cose. “Se le tue foto non sono abbastanza buone significa che non sei abbastanza vicino” era l’imperativo di Robert Capa.
Al di là della bellezza e dell’emozione delle foto, credo che la cosa che mi ha inchiodata a questo libro sia proprio quell’andare diretto verso le cose e le persone, quell’osservarle per ore o per giorni prima di scattare e cogliere istanti che non dimenticheremo più.
Steve McCurry si immerse per giorni interi nelle acque fetide dei fiumi indiani pur di raccontare la devastazione dei monsoni; ne usciva con le gambe piagate e con foto che coglievano l’ironia e la bellezza anche in quei disastri.
Il praghese Josef Koudelka credette a uno scherzo quando un’amica gli telefonò per dirgli che i russi stavano entrando in città, ma poi afferrò la macchina fotografica e trascorse giorni e giorni per la strada nascondendo i rullini dove poteva; passarono vent’anni di esilio prima che potessimo associare il suo nome alle più famose foto in bianco e nero della primavera di Praga.
Paul Fusco aveva il sogno di fotografare Robert Kennedy; non ci riuscì, ma riuscì a salire sul treno che trasportava il suo feretro da New York a Washington, con l’ordine di non muoversi dallo scompartimento; allora si piazzò al finestrino e in otto ore documentò in duemila foto il dolore di una nazione che si era raccolta lungo i binari per dare l’ultimo omaggio al suo “Bobby”.
Sabastião Salgado, dopo decenni di lavoro sugli ultimi della terra, stava per perdere la speranza e quasi la ragione. La pace gliela ha restituita il progetto Genesi, alla ricerca dei luoghi ancora incontaminati del pianeta.
Foto e storytelling riempiono il nostro quotidiano digitale. Nei discorsi e nelle buone intenzioni, fin troppo. La lettura di questo libro mi ha riportata a una visione quasi epica delle immagini e delle storie. Ha squarciato il velo della superficialità e approfondito la dimensione del tempo. Raccontare, in immagini o in parole, è prima di tutto una questione di studio, di attesa, di ascolto, di sguardo, di empatia e di luce.
Grazie per avermi fatto scoprire il meraviglioso libro di Calabresi. E grazie anche per avermi aiutato a scoprire “Don’t make me think” e “Email marketing in pratica”, utilissimi.
calabresi mi piace sempre e questo è libro è davvero bello.
grazie luisa!
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