Stamattina ho ricevuto l’email di una dirigente della pubblica amministrazione con la quale ho lavorato nei mesi scorsi. Mi chiedeva come regolarsi nel chiamare un nuovo ruolo che ne riuniva due precedenti, uno di Direttore e l’altro di Direttrice, ricoperti entrambi da due signore, ma con storie e sensibilità molto diverse. Una col maschile intendeva sottolineare la sua funzione, l’altra la sua storia femminista.
Mi sono ricordata di quanto ha dichiarato di recente a questo proposito Nicoletta Maraschio, presidente dell’Accademia della Crusca, e l’ho girato alla mia interlocutrice:
“Non si capisce perché il femminile di termini che indicano professioni, per così dire, meno ‘alte’, come infermiera, operaia si usa tranquillamente, mentre se si passa a mestieri più, diciamo, ‘elevati’ come ‘avvocato’, ‘ministro’, si tende invece a mantenere il maschile anche se a rivestire tali ruoli sono donne. Correttezza vorrebbe che si dicesse ‘avvocatessa’ e ‘ministra’. Il problema è che certe tradizioni sono dure a morire, e forse, benché ultimamente qualcosa si stia già muovendo, per agevolare il processo di ammodernamento, occorrerebbe una maggiore consapevolezza linguistica di genere da parte delle stesse donne”.
In un bel video su YouTube Nicoletta Maraschio è ancora più netta (e anche molto simpatica quando parla di sé).
Mi sono quindi sentita di consigliare Direttrice, la versione più precisa, al di là di ogni altra considerazione. E se alcune forme al femminile sembrano ancora un po’ buffe o goffe, come sindachessa, pensiamo che è solo questione di abitudine, Oggi diciamo senza problemi vigilessa e soldatessa. Qualcuna di noi pure cantantessa.
Per chi volesse approfondire, ci sono le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, scritto da Cecilia Robustelli in collaborazione con l’Accademia della Crusca. Non le conoscevo, ma mi accingo alla lettura.
Allora bisognerebbe scrivere anche: “[…] Nicoletta Maraschio, presidenteSSA dell’Accademia della Crusca”. 😉
In realtà Nicoletta Maraschio, quando fu nominata, disse di aver scelto Presidente come un’opzione “equilibrata”, ma nei suoi ultimi interventi mi è apparsa più decisa.
Luisa
Ciao Luisa qui c’è un altro interessante dibattito a riguardo
http://www.linkiesta.it/blogs/degiovanimento/ministro-o-ministra-direttrice-o-direttora-l-italiano-da-cambiare-partire-dalla
Pur avendoci riflettuto già altre volte, non ho ancora le idere chiare in proposito. Nel frattempo mi faccio chiamare “ingegnere” e, quando parlo di sogni, dico che vorrei essere “scrittore” (come Oriana Fallaci). Perché? Perché “sento” così. Forse per evidenziare la specifica competenza, lo specifico mestiere, lo specifico ruolo, ecc. Ma riconosco che il tuo ragionamento, Luisa Carrada, non fa una grinza. Una soluzione alternativa al tradurre certi termini al femminile potrebbe essere l’utilizzo di termini di genere “neutro”, che si distinguano nettamente da “maschile” e “femminile”, abbandonando luso dei corrispondenti termini al maschile e femminile. Ma si tratterebbe di abituarsi a termini nuovi, ancor più nuovi di “sindachessa” o “giudichessa”. Tornando al fatto di utilizzare certi termini al femminile, spesso sorge il problema della lunghezza: “sindachessa”, “giudichessa”, “consulentessa”, “tecnichessa”, “idraulichessa”, “magistratessa”. La lunghezza è una realtà già in atto, basta pensare all’uso di “professoressa”, “dottoressa”, ecc. che sono di uso comune da tanto tempo ma, traducendo ogni termine al femminile, ne avremmo tanti di più. Ma è anche vero che o si traduce al femminile ogni competenza/mestiere/ruolo o non se ne traduce nessuno! Il tuo articolo, Luisa, mi ha stimolato e approfondirò a partire dai link che ci hai proposto (video di Maraschio e linee guida di Robustelli). E scusa se sono stata lunga… Buon lavoro!
Con estremo orgoglio accetto il titolo di “mentoressa” che mi è stato attribuito da un caro amico che mi dà retta quando straparlo.
Mentoressa mi pare splendido, molto solenne ed espressivo.
Una specie di sacerdotessa 🙂
Luisa
Spero che Devoto, Oli o chi per essi ne tenga conto quando inserirà il lemma nella dizionariessa.
Chissà quando passa il marito della “Platessa” come lo chiamano!
Vado controcorrente perché penso che i veri problemi di sessismo abbiano poco a che fare con lessico e grammatica, e che sia controproducente cercare di imporre regole che a molti parlanti appaiono artificiose (addirittura Alma Sabatini, a cui si devono le prime Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, suggeriva di non accordare il participio passato al maschile se i nomi sono in prevalenza femminili: Carla, Francesca, Giacomo e Sandra sono arrivate stamattina).
Credo vada anche notato che la maggior parte delle professioni “elevate” prevede già la forma al femminile (dottoressa, scienziata, ricercatrice, antropologa…) e che per promuovere nuove forme femminili si tendono a fare sempre gli stessi esempi, come avvocato, architetto e sindaco. Mi pare anche che le rivendicazioni per la forma femminile vengano fatte soprattutto da chi ha ruoli che prevedono già la forma femminile (giornaliste, linguiste, sociologhe e altre studiose, esperte od opinioniste), mentre se si prova a chiedere alle dirette interessate* la risposta è diversa: preferiscono il maschile, avvertito come neutro, perché le forme femminili “forzate” tendono a sottolineare che in quel ruolo c’è una donna, come se fosse una cosa insolita e inaspettata, mentre il sesso di chi ricopre un incarico dovrebbe essere irrilevante.
Concludo con una battuta: per coerenza, bisognerebbe cominciare a dire anche il guido, il persono, il guardio ecc. e “dare del lui” agli uomini!
* L’ho chiesto spesso perché l’argomento mi incuriosisce; nel mio campione ci sono soprattutto persone laureate dagli anni ’80 in poi (dettaglio credo rilevante a proposito di storia femminista).
Ciao Luisa
io cerco di mettere dove posso il femminile, perché come tu ci insegni preferisco usare parole “concrete”, e sapere già alla prima citazione se stai parlando di una donna o di un uomo è rilevante.
Spesso non posso farlo, dato che mi occupo di comunicazione aziendale, e credo che il mio Direttore non amerebbe essere chiamata Direttrice (che fa pensare alla scuola e non a una grande azienda).
Però io percepisco un sottile senso di scherno nei suffissi usati impropriamente. Per questo preferisco dire avvocata (ad-vocatum, ad-vocata, semplicemente) e sindaca invece che sindachessa, e assessora.
Non ho un’idea precisa sui termini che al maschile terminano in -e (vigile, presidente) perché non sempre hai l’articolo a indicare il genere, e presidentessa e vigilessa ormai sono nell’uso comune, forse. Insomma, ho sia argomenti a favore che contro quindi forse mi accomodo sulla comodità del parlare “normale” e non fare una dichiarazione di principio a ogni frase, che è anche faticoso 🙂
grazie della riflessione
ciao
laura
[…] http://blog.mestierediscrivere.com/2014/01/14/direttrice-direttrice/ […]
Alle elementari però mi avevano insegnato che “vigile” è invariabile, quindi “la vigile” . Direi anche che “la presidente” è meglio di “la presidentessa”, intendendo la parola come un participio presente.
ps: sono l’autore del precedente commento, chiedo scusa per il doppio post, ma non volevo scrivere in forma anonima!
[…] voi ma io utilizzo il femminile tutte le volte che posso! Sono una donna felice di esserlo, già la lingua italiana ci penalizza, non ci […]
[…] Direttrice Direttrice (scrittura e leadership femminile) dal blog Il mestiere di scrivere […]