Se un paio di giorni fa avevo letto solo titolo, sottotitolo e note dell’articolo di New Republic The Period is Pissed, oggi me lo sono letto tutto e la lettura ha innescato una serie di considerazioni sull’uso della punteggiatura nella scrittura in rete.
L’autore Ben Crair parte dall’idea che il punto, al di là della sua funzione grammaticale di pausa, sia sempre più usato per dare al proprio messaggio anche una sfumatura emotiva di distacco, freddezza, voglia di troncare e finirla lì. Come la mamma che dice al figlio capriccioso: “Basta merendine! Da oggi solo pane e marmellata fatta in casa! Punto.” La funzione di pausa, invece, verrebbe ora affidata sempre più all’andata a capo, cioè allo spazio.
Lì per lì mi è venuto da ridere, perché io sono una che usa la punteggiatura con tutti i crismi anche quando scrive un sms per dare un appuntamento davanti al cinema. Insomma, tutte le mie frasi si concludono con il punto. E non uso mai abbreviazioni. Non per fare la vecchia signora, ma perché è un vincolo che mi diverte e scrivere per benino anche quando ho pochissime battute a disposizione è sempre una piccola sfida. Quando ho il problema dell’intonazione – anche nelle email di lavoro – non disdegno gli emoticon, ma solo sorriso, occhiolino e faccia triste. Punto.
La verità, ora che ci penso, è che più scrivo in rete, più apprezzo la varietà e la ricchezza dei segni interpuntivi, e anche i diversi significati che possono assumere nel testo digitale rispetto a quello su carta. Se qualche anno fa ero tutta e solo punti e virgole, ora il mio parco di segni si è parecchio ampliato, proprio mentre le scritture brevi avanzano. Sarà perché sono le più difficili da intonare? O perché un piccolo segno può fare miracoli soprattutto in un piccolo testo?
Allora, cominciamo proprio dal punto. Lo uso sempre negli sms, ma spesso anche su twitter:
Twitterei tutta la mattina, ma Annamaria Testa mi invita alla pratica deliberata. Vado. http://nuovoeutile.it/metodo-48-la-pratica-deliberata-e-tutto/ … via @NuovoeUtile
Dove nascono i testi? Sul foglio di un pittore. A tu per tu con le opere di Klee. Nel silenzio di casa sua. http://wp.me/p20OYv-RO
Quando non lo metto non è tanto per risparmiare uno dei 140 caratteri ma perché vedo quel tweet come la battuta di una conversazione tra tanti, mentre considero l’sms come una minilettera a una persona precisa. Amo poi molto il “superpunto” secondo una scherzosa definizione del serio accademico Luca Serianni, cioè il punto che chiude il capoverso, dopo il quale c’è lo spazio. Si tratta di un punto speciale, che marca un cambio di tema e dà risalto alla prima e all’ultima parola di un capoverso, quelle che il veloce lettore del web coglie meglio e subito. E il capoverso è l’unità di misura del testo in rete, quella che sta tutta intera in una schermata.
Il povero punto e virgola, invece, l’ho snobbato a lungo. Quando la professoressa Bice Mortara Garavelli, per la quale ho una vera venerazione, nel suo Prontuario di punteggiatura ha citato la mia presuntuosa dichiarazione di non usare mai il punto e virgola, sono arrossita assai e pian piano mi sono riconciliata con questo segno che qualcuno ha chiamato “un cancello chiuso a metà”. Non lo uso moltissimo; può essere utile proprio quando si deve essere brevi, perché permette di fare riferimento a quanto viene prima con morbidezza, senza cesure brusche o inutili ripetizioni.
I due punti sono il mio vero darling, un segno che mi piace talmente da doverlo controllare per non abusarne (Kill your darlings! ordinava William Faulkner al giovane scrittore in cerca di consigli). Sempre, ma soprattutto in rete, è il segno dell’apertura – quasi un abbraccio – che ci fa risparmiare un sacco di parole:
Imparare da @Eataly: scrivono dappertutto. pic.twitter.com/qa23IrFCNf
Quanto alla virgola, quanti usi espressivi può assumere in un tweet! Eccone uno:
A tu per tu con Francisco de Zurbarán, una mattina @PalazzoDiamanti http://wp.me/p20OYv-Wo
Se invece il testo è lunghetto, e lunghetti i periodi, – come spesso accade con i post di questo blog – il trattino lungo che ho appena usato mi viene in soccorso. Mi serve per incorniciare gli incisi cui voglio dare un certo rilievo, e servono a chi legge, perché la cesura visiva è forte e non sfugge. Sta diventando un darling, tanto che qualche volta mi sfugge pure nei tweet:
La bella storia di #scriviamoamano: tutto – immagini e parole – per noi e per voi su Storify http://wp.me/p20OYv-R9 grazie@dplastino!
Verso i due segni davvero intonativi – punto di domanda e punto esclamativo – ho sentimenti un po’ diversi. Il primo mi piace e lo uso nei testi brevi, per esempio nei titoli dei post:
Criticoni? Un paio di buoni consigli
Uscire dalla crisi? Le risorse sono tutte dentro di noi
Invece con l’esclamativo sono parsimoniosa. Se deve esprimere entusiasmo, lo adotto soprattutto in funzione relazionale, e in pubblico. Per esempio quando su twitter faccio complimenti ad altri o sentitamente ringrazio. In quei casi mi dispiace lesinare:
Scrivere bene è un gioco da ragazzi, il nuovo libro di M. Birattari, un editor bravissimissimo!
Persino le parentesi, di solito bei freni alla fluidità della lettura, nei brevi testi digitali rinascono a nuova vita e scoprono nuove funzioni. Nella versione quadra introducono un registro in più – battuta, commento, voce narrante, abstract, tag:
[nuovo post, finalmente] Il doppio gioco di certi verbi http://wp.me/p20OYv-XQ
[provate a farne a meno, succedono miracoli] Ah, il passivo! http://wp.me/p20OYv-XM
[come si scusano quelli bravi] Hi Luisa, that’s right, we mess up… e per un link sbagliato c’è un piccolo bonus @HubSpot
Con le tonde si può anche giocare:
[d’accordissimo con A. Testa] scrivere per farsi leggere (anche da Google) è forzare le regole (anche di Google) http://nuovoeutile.it/scrivere-il-web/ …
Infine, oltre a chiocciole e hashtag, sulla tastiera ci sono altre utili cosucce. Quella che ho adottato più di recente è il segno > in funzione di “vai”, “vedi”, “confronta”. Ho sempre odiato l’abbreviazione cfr. seguita da titoli di documenti o riferimenti normativi. Ormai so come fare: > Decreto Legislativo 43/12. Semplice, chiaro e pulito. Sulla carta e sul web.
Insomma le scritture brevi e quelle digitali possono essere molto accoglienti verso punteggiature vecchie e nuove e guadagnarne in ritmo, chiarezza, espressione. C’è un solo segno che proprio non riesco a mandar giù, da sempre: i puntini di sospensione. Colpa del mio perfezionismo un po’ ossessivo che non mi fa mai lasciare qualcosa in sospeso.
Su questo blog leggi anche:
La punteggiatura, te la faccio vedere io!
Punteggiatura: la festa allo spazio
Reblogged this on cose mentali and commented:
interessante post sulla punteggiatura.
Reblogged this on EM and commented:
La simpatia dei punti di sospensione la puoi respirare da Pirandello. Su web e carta si fatica a usarli. In genere scattano in automatico in particolari momenti, via sms, quando non si ha una certa confidenza col mittente. Ecco, credo che i tre puntini esprimano intimità. Si dovrebbe scrivere un ‘post apposta’.
Mi correggo: quando SI HA una certa confidenza… Ecco i puntini!
[…] è un estratto di “La punteggiatura ai tempi di Twitter“, un post di Luisa Carrada: spunti e riflessioni, partendo da un’analisi altrettanto […]
L’ha ribloggato su Amolanoia.
Personalmente uso tanto i puntini di sospensione.Mi danno l’idea che l’argomento di cui si sta scrivendo si possa sempre riprendere.In effetti anche io li trovo”intimi” Giò
Forse la scrittura da dispositivi mobili ci porterà a usare più segni e simboli, perlomeno quelli che si ottengono facilmente ma che invece non sono disponibili sulle tastiere tradizionali, ad esempio nei tweet uso ≠ al posto delle parole diverso o differenza.
In un’altra discussione ho fatto caso che anch’io uso sempre punto finale in SMS e WhatsApp, non sempre invece in Twitter; se però nella frase ci sono già altri segni di punteggiatura, allora non riesco a non metterlo, come se i segni di punteggiatura si richiamassero a vicenda.
Anche io ho sempre snobbato i puntini di sospensione. Poi “l’arcobaleno della gravità” di Pynchon me li ha un po’ fatto rivalutare. Purtroppo online c’è chi ne abusa: quasi fossero un’impronta enfatica di quel che li precede. Insomma, l’opposto di quel che dovrebbero essere!
Gran bell’articolo!
D’accordissimo con te sull’uso della punteggiatura.
Evitano l’anossia al cervello di chi legge. 😀
Nicola
D’accordo su tutto, tranne sulla questione del punto alla fine dei Tweet. Se dopo la frase c’è un link il punto prima del link io non lo metto. O niente o i due punti…
[…] una passione Quella per le parole e il mestiere di scrivere, per i due punti parentesi che si fanno sorriso e gli otto che si fanno occhioni avidi da lettrice […]
[…] Ogni piccolo attrezzo serve e contribuisce alla ricchezza espressiva. Il post dedicato alla punteggiatura su Twitter lo scrissi un pomeriggio di sabato come questo, convinta che lo avrebbero apprezzato forse pochi […]
[…] come Slate ne tirano fuori una almeno ogni due mesi: questa della virgola che sparisce o quella del punto altezzoso e scoraggiante. I libri su come si parla e si scrive sono un successo assicurato. La nostra Accademia della […]