Be’, proprio una legge non è. Sono io che la chiamo scherzosamente così. Prima solo tra me e me, poi anche nelle aule in cui insegno la scrittura professionale.
La legge della vicinanza chiede che le cose concettualmente e funzionalmente vicine lo siano anche fisicamente. Sembra l’ovvio, ma la legge è violata di continuo e la leggibilità peggiora.
Per esempio, è bene tenere tenere insieme soggetto, verbo e complemento, senza separarli con incisi chilometrici. La povera mente che legge è messa a dura prova in attesa del verbo che tarda ad arrivare: si scorda quello che ha letto all’inizio e presta pochissima attenzione al contenuto dell’inciso. Alla fine del periodo, sente il bisogno di rileggere per mettere insieme i pezzi. Gli incisi servono, eccome, ma brevi e pertinenti.
Per la stessa legge, è bene evitare i “riferimenti all’antecedente”. Dietro questa espressione apparentemente misteriosa si nasconde uno dei peggiori vizi della scrittura di lavoro: i vari sovracitato, summenzionato, più sopra citata… Naturalmente la stessa cosa vale per i riferimenti “al seguente”: la normativa si applica alle attività in seguito elencate. E magari l’elenco è due pagine dopo.
Anche in questo caso è il lettore a dover fare su e giù nel testo per ricostruirne il senso, come spiega benissimo la professoressa Bice Mortara Garavelli in un suo libro meno noto, ma molto utile, Le parole e la giustizia. Se poi il testo viene letto attraverso la finestra dello schermo, andarsi a cercare l’antecendente o il seguente è ancora più complicato e irritante.
Parole e immagini: anche loro devono stare il più possibile vicine, senza inutili mediazioni. La mediazione più diffusa è la legenda. Un esempio: avete presente i grafici a torte con quei minuscoli quadratini che riportano il colore o il grigino delle diverse fettine? Per leggere il grafico tocca prima fare il collegamento tra il colore della fettina e quello del quadratino, poi leggere la legenda, poi tornare alla torta. Molto meglio mettere il testo attaccato alla fetta, oppure collegarlo con un filetto.
E se le fette sono troppe? Allora il grafico a torte non è il più adatto, meglio le barrette. È quanto insegna un maestro della visualizzazione dei numeri, Stephen Few.
Se sto scrivendo questo verboso post di sabato pomeriggio è perché sono appena uscita dal Museo del Cinema di Torino.
Bellissimo, niente da dire. Solo l’ora abbondante spaparanzata sulla chaise-longue a vedermi gli spezzoni di danze dai film più diversi scelti da Gianni Amelio e la lunghissima galleria di locandine e manifesti valevano il viaggio. Però, se l’allestimento dei pannelli avesse osservato la legge della vicinanza mi sarei goduta di più anche le foto.
Le foto sono infatti uno dei tesori del museo: attori, registi, scenografie, produttori… una meraviglia! Solo che tra foto e didascalia c’è una distanza abissale. Le foto sono fitte fitte, sopra corre una fascia orizzontale con lo schema delle foto (quadrati o rettangoli vuoti!), a volte anche venti, all’interno di ognuna un numerello. Poi, finalmente ma a una certa distanza, al numero corrisponde la didascalia.
Per leggere le didascalie, quindi, prima bisogna cercarle. Una piccola come me si deve sollevare sulle punte, poi deve cercare la foto tra i venti quadratini, poi deve leggere il numero, poi cercare la didascalia e infine tornare alla foto. Il tutto in un ambiente scarsamente illuminato (siamo al cinema, no?). La negazione dell’usabilità.
Mi sono guardata intorno: quasi nessuno leggeva le didascalie, limitandosi a guardare le foto dove riconosceva qualcuno. Con Fellini e Rita Hayworth era facile, ma di sicuro ti perdevi un giovanissimo Charlie Chaplin o un inedito Ingmar Bergman.
Cosa abbiano in testa gli architetti dei musei, invece del visitatore, per me resta un mistero.
Domenica scorsa ho visitato la mostra di Pollock al Palazzo Reale a Milano, dove i pannelli erano scritti in bianco, corpo minuscolo, contro un fondo grigio, e arrivavano fino a… dieci centimetri da terra!
Concordo con te per quello che riguarda le mostre e le gallerie. Però non credi che l’eccessiva semplificazione della parola scritta sia un incentivo alla pigrizia del lettore? Voglio dire, certamente testi troppo verbosi non sono mai graditi, ma un lettore attento non dovrebbe dimenticare quello che ha letto solo poche pagine prima. Io penso che una scrittura articolata sia invece uno sprone a tenere alta l’attenzione di chi legge o almeno ad esercitarla. Ovviamente è tutta una mia teoria!
Ciao Siboney,
una cosa è la scrittura articolata, un’altra è quella inutilmente complicata. La professoressa Garavelli, nel libro che cito, dice che la nostra attenzione deve essere tutta per il contenuto, senza ostacoli dovuti alla forma. Più che di semplicità forse dovremmo parlare di fluidità: più le cose vicine concettualmente sono vicine anche fisicamente, più la lettura è fluida. Non è quello che tutti desideriamo?
Queste questioni le affronta in un bell’articolo sul Mestiere di scrivere anche il prof. Gabriele Pallotti, altro linguista che si è occupato a fondo di semplificazione: http://www.mestierediscrivere.com/articolo/che_storia
Il titolo dice tutto: Alzare l’asticella dei concetti, abbassare quella del linguaggio.
Luisa
I problemi sollevati da Luisa con il suo post sono problemi che sento molto anche io. Credo che abbia fatto bene a scriverne così gli “architetti dei musei” che la leggono, quelli di buona volontà e in buona fede, potranno tenerne conto nei prossimi lavori che faranno. E non solo gli architetti, ma anche tutti gli altri professionisti che utilizzano la parola scritta. Al commento di Siboney e al successivo commento di Luisa aggiungo (anche se scontato) che bisogna distinguere fra testo e testo. A seconda del destinatario, della funzione, del contesto, eccetera, si può/deve organizzare il testo in maniera differente, anche rinunciando alla vicinanza (mi vengono in mente esempi ma ora non mi posso dilungare, in treno, col campo che va e viene…) Fermo restando quanto sopra (ah, ah, ah…), ritengo che bisogna puntare sempre il più possibile alla vicinanza, così come ad ogni altro accorgimento che consenta a tutti una lettura agevole ed una comprensione facile ed immediata. Buona giornata a tutti!
[…] me, si tratta di un sano esercizio di scrittura. Proprio oggi leggevo di questo nell’articolo “La legge della vicinanza” sul blog dell’interessantissimo sito “Il mestiere di scrivere” di Luisa […]
[…] L’usabilità delle piccole cose #1 La legge della vicinanza […]
[…] il riferimento all’antecedente: la stessa, sopraindicata (professoressa Mortara Garavelli, dove sei?) […]
[…] Parla con le persone. E non allontanare troppo il soggetto dal verbo: segui il consiglio di Luisa Carrada, sposta gli incisi all’inizio o alla fine della frase e non dividere il nocciolo della […]
[…] dispiace” Contro le bare verbali e le parole zombie Scrivere: una visione e una conversazione Naturale come il parlato, preciso come lo […]