La mostra Genesi del fotografo brasiliano Sebastião Salgado all’Ara Pacis a Roma è forte e decisamente bella. Anzi, se le si può trovare un difetto è che alcune foto ti sembrano fin troppo belle e l’autore quasi compiaciuto dei suoi effetti speciali e delle sue ricercatezze tecniche e compositive.
Genesi: sembra davvero di essere trasportati indietro nell’era della creazione, quando le acque e le terre erano appena state separate. Il progetto di Salgado è stato proprio di andare alla scoperta dei luoghi ancora incontaminati del nostro pianeta, dove l’uomo non è ancora arrivato o vive ancora come millenni fa, immerso nella natura e i suoi ritmi: la Patagonia, l’Antartide, alcune zone e tribù dell’Africa, il profondo nord dell’America e dell’Asia. L’obiettivo è mostrarci che posti così ci sono ancora, e tanti, e che vale la pena impegnarsi a tutti i livelli per conservarli.
Le foto, quasi tutte di grandi dimensioni, sono impressionanti ma insegnano anche molto – le sale erano piene di ragazzini entusiasti –. Sugli oceani, i vulcani, le balene, le tartarughe, i pinguini, gli aironi e su piccoli gruppi di esseri umani che si muovono con le renne o si costruiscono case sugli alberi a 30 metri di altezza.
È, insomma, anche una mostra educativa, sia per quello che racconta sia per il suo obiettivo di sensibilizzarci sulle sorti di questo pianeta. Ma educativo non significa paternalistico. È un peccato che tutti i materiali promozionali siano infarciti di banalità e conditi da un tripudio di aggettivi per farci sentire belli e buoni se andiamo a vedere la mostra: Un viaggio fotografico nei cinque continenti per documentare, con immagini in bianco e nero di grande incanto, la rara bellezza del nostro principale patrimonio, unico e prezioso: il nostro pianeta.
Naturalmente nel comunicato stampa il progetto di Salgado è straordinario, le fotografie eccezionali, la bellezza della natura grandiosa, la sua sinfonia perfetta. Il tutto in poche righe.
Ma perché le nostre istituzioni culturali parlano come la tivvù e non lasciano a noi l’emozione e la gioia di ammirare e stupirci? Anche ricorrendo a qualche aggettivo banalotto, ma spontaneo e non imbeccato.
Meno aggettivi, più informazioni. Vale per tutti i materiali di marketing, anche per quelli delle mostre.
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Posso aggiungere un po’ infantile? Rientra forse nell’uso ed abuso di termini che sembrano parlare ad adolescenti piuttosto che agli adulti, ma si sa, l’adulto è meno vulnerabile…
Comunque non conoscevo l’artista in questione, da ciò che vedo è impressionante. Grazie, approfondirò!
Una riflessione: credo che Salgado rientri tra gli artisti che comunicano attraverso la fotografia stati d’animo, emozioni “universali”. Finalmente anche questa è riconosciuta come “arte”. Ma come non basta saper dipingere con tele e pennelli, così non basta avere una macchina fotografica per realizzare opere d’arte fotografiche. Lo penso quando visito siti web dedicati alla fotografia o quando sui social network girano foto costruite “ad arte”… Servono un occhio e un sentire particolari per fissare immagini che comunicano, senza retorica, ciò che è essenziale e che va preservato.
Un caro saluto.
Anna M.
bello
[…] Gli aggettivi, lasciateli a noi Test londinese in versione romana Insidiosi e formali aggettivi Prima il nome! […]
[…] Sebastião Salgado definisce Berengo Gardin “il fotografo dell’uomo”. Anche nel suo ultimo libro, che denuncia il passaggio delle grandi navi nella sempre più fragile Venezia, l’uomo c’è sempre. Minuscolo, o solo mentre si avvia nella calle incontro a un destino misterioso. […]