Compro ormai molti ebook, che per tanti versi apprezzo. Soprattutto ora che si va in vacanza la densa leggerezza del Kindle mi appaga e mi rassicura. L’immersione del testo è più profonda, ma talmente subitanea che è come se attraversassi la porta di ingresso del libro a occhi chiusi. Insomma, mi manca la copertina.
Sarà per questo che ogni domenica sul Sole 24 Ore la prima cosa che vado a leggere – dopo il Breviario di Ravasi – è la rubrica Cover Story di Stefano Salis: una copertina analizzata in 10-12 righe. Ieri c’era questa splendida architettura di lettere per l’ultima edizione de La terra desolata di T. S. Eliot:
Torna a casa Eliot!
È semplicemente bellissima questa copertina disegnata dai grafici della casa editrice Liverlight (marchio di Norton) per la Waste Land di Eliot. È un ritorno a casa: Boni & Liverlight era l’editore americano che la aveva tenuta a battesimo nel 1922. Qui la grafica compone un mosaico, dando subito l’idea di classico, che si basa sull’asse verticale della N e sull’uso sapiente dei cinque colori e degli spazi. È irresistibile. Con l’introduzione del Pulitzer P. Muldoon, uscirà a settembre in hardcover. E non vediamo l’ora di toccarla.
L’architettura di lettere, la copertina fatta solo del titolo, senza immagini, mi ha ricordato uno scritto dell’art director Francesco Messina, autore delle copertine dei libri di Umberto Eco, Susanna Tamaro e Andrea De Carlo per Bompiani, così come degli album di Franco Battiato e Alice. Quest’anno la sua lezione al Mastercom di San Marino precedeva la mia e il suo punto di vista sul testo e la scrittura mi è piaciuto tantissimo:
Kubrik diceva che il titolo di un film era di per sé l’80% della sua promozione. Parole sante. Ho imparato ad apprezzare la forza delle immagini e di conseguenza anche a dubitare di un loro indiscriminato utilizzo, ma ho fortunatamente mantenuto una considerazione profonda per la scrittura. Le lettere dell’alfabeto, evolutesi nei millenni, vanno viste come vere e proprie architetture. La diversità tra le parole e le font utilizzate compongono facciate di palazzi sempre diversi, sempre distinguibilissimi. Un titolo è già un concentrato di intelligenza, intuizione e armonia; è un linguaggio vicino alla poesia. Meglio sarebbe allora far respirare un po’ le parole, lasciando loro lo spazio per illuminarsi da sole, per dirla alla maniera di Emily Dickinson.
Anche le parole devono respirare, Il Manifesto
Eppure alcune delle copertine più riconoscibili, quelle di Adelphi, sono nate senza l’apporto di alcun grafico, dalla sola passione di Roberto Calasso e del gruppetto fondatore della casa editrice per le parole e l’arte. Lo racconta Calasso stesso nel primo saggio dell’Impronta dell’editore, un libretto che si addice ai tempi più lunghi e rilassati dell’estate perché va gustato pagina per pagina.
La copertina deve attirare il pubblico perché è la prima cosa che il lettore vede. Ma da Adelphi decisero di seguire il metodo opposto a quello del packaging vincente delle case editrici del mondo anglosassone. Decisero semplicemente di scegliere delle immagini che secondo loro risuonavano con l’autore:
Innanzitutto pensavamo che, nello sterminato repertorio delle immagini esistenti – fossero quadri o fotografie o disegni – si potesse trovare ogni volta, con un po’ di pazienza e di tenacia, qualcosa di adatto al libro che stavamo per pubblicare. Perciò non abbiamo mai commissionato una copertina. Perciò, per più di trent’anni, Foà e io abbiamo vagliato, provando e riprovando, centinaia e centinaia di immagini, formati, colori di fondo.
Finché ogni autore incontrava il suo artista. Simenon e Bernhard hanno il loro, Léon Spilliaert, artista belga che non conoscevo, ma che tutti noi riconosciamo ormai come inconfondibilmente Adelphi.
Ma il libretto di Calasso non è affatto il rimpianto del tempo che fu. Anzi, l’ultima pagina torna agli albori dell’era Gutenberg per guardare avanti e indicare quella cosa così attuale che si chiama “innovazione”:
Detto questo, non vorrei si ricavasse l’impressione che oggi l’editoria nel senso che ho tentato di descrivere – cioè l’editoria dove l’editore si diverte soltanto se riesce a pubblicare buoni libri – sia una causa persa. Mentre è solo una causa molto difficile. Ma non più difficile di quanto lo fosse nel 1499, quando Aldo Manuzio, a Venezia, pubblicò un romanzo di ignoto autore, scritto in una lingua composita, fatta di italiano, latino e greco. Anche il formato era inusuale e così pure le numerose xilografie che costellavano il testo. Eppure si trattava del libro più bello che sia stato stampato sino a oggi: la Hypnerotomachia Poliphili. Un giorno, qualcuno potrà sempre tentare di uguagliarlo.
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Gentile Luisa, seguo ormai da tempo il tuo blog sperando in un miracolo. Ho sempre fantasticato su una mia possibile traccia da lasciare ai posteri, in forma cartacea magari, ma a cinquant’anni suonati sono ancora nel limbo. Comunque attingo…
Il vero motivo di questa mia è che mi piacerebbe che conoscessi la rivista a cui sono abbonato, Ellin Selae. Alla luce della tua esperienza vorrei passarla in rassegna. Nooo??!! Ok! Se così fosse non ti autograferò il mio futuro best seller.
Grazie di tutto e buon lavoro!
(it’s only arteriosclerosi but i like it)
Glauco,
conosco la rivista Ellin Selae, anche se non la sfoglio da molto tempo.
Ma cos’è che mi chiedi esattamente?
Luisa
Non voglio rubarti altro tempo, diciamo che mi sarebbe piaciuto leggere una recensione (il mio secondo nome è Utopia…) da una persona autorevole quale sei. Ma forse questo è il mio bambino interiore…Pensa che io i libri li stampo, con poca convinzione dell’amministrazione, e in un qualche modo ne sono innamorato. Ellin, per farla breve, equivale al brano musicale sparato dall’auto ad un miliardo di decibel, il mio Supercafone. Comunque grazie dell’attenzione.
Ciao, Luisa, leggendo ho sussultato… anni fa ho seguito il corso di “Grafica editoriale” con Riccardo Falcinelli, autore di copertine per la casa editrice minimumfax, ma non solo. La mia passione per la scrittura – il contenuto di un libro – mi portò a esplorare anche il contenitore. E’ stata una esperienza molto interessante e mi sono rimaste bozze, prove e libri da leggere… Uno di questi è proprio di Riccardo Falcinelli: “Guardare, pensare, progettare. Neuroscienze per il design”. Potrebbe essere uno dei tuoi prossimi ebook?
Un caro saluto.
Anna Maria
Magari questo prossimo ebook lo potresti scrivere tu 😉
Luisa
Una boccata d’ aria fresca. Che bello