Il designer Rodolfo Di Martino mi ha lasciato questo messaggio sul post dedicato alle fotografie di Pier Luigi Ghirri:
Casualmente insegno Design for All, cioè la progettazione non discriminante orientata alle persone con disabilità, in una piccola università privata di design. Sto organizzando il programma per il prossimo anno – non faccio mai le stesse cose – e pensavo di assegnare, come uno degli esercizi relativi alla percezione delle persone non vedenti, il disegnare un ambiente, una stanza o un appartamento a partire dalla sua descrizione letteraria. Una simulazione impossibile, ma empatica su come una persona cieca potrebbe immaginare il luogo in base alla descrizione che ne riceve.
L’opposto del lavoro di Pier Luigi Ghirri. La descrizione di quegli scatti per ricostruirli con l’immaginazione e la raffigurazione.
Questo anche per vedere quante diverse interpretazioni visive si possono generare dalla stessa descrizione verbale.
Purtroppo, oltre alla stanza della Metamorfosi di Kafka o quella dell’Uomo senza qualità di Musil non vado, mentre sarebbe più traducibile la descrizione di un ambiente attuale, contemporaneo.
Mi chiedo se il tuo blog e le tue lettrici e i tuoi lettori possano darmi una mano e segnalarmi una descrizione utile al mio obiettivo, tratta da un testo letterario contemporaneo.
Eccoci qua. Riapriamo libri, riattiviamo la memoria o prestiamo più attenzione a quello che stiamo leggendo proprio in questi giorni. Poi postiamo qui sotto. Comincio io.
Una cosa pazzesca è che il suo appartamento sembrava identico al nostro. I pavimenti erano uguali, i davanzali uguali, perfino le piastrelle sul camino erano dello stesso verde. Ma il suo appartamento era anche incredibilmente diverso, perché pieno di cose diversissime. Una marea di cose. Dappertutto. E poi, proprio nel mezzo della sala da pranzo c’era una colonna enorme. Era grossa come due frigoriferi, quindi era impossibile che nella sala ci stesse un tavolo o altro, come nella nostra. “Quella a cosa serve?” gli ho chiesto, ma lui non ha sentito. Sulla mensola del camino c’erano delle bambole e i pavimenti erano tutti coperti di piccoli tappeti. “Queste qui le ho raccolte in Islanda!” ha detto, indicando le conchiglie sul davanzale. Ha indicato una spada sul muro e ha detto: “Quella l’ho presa in Giappone!” Gli ho chiesto se era una spada da samurai. Ha risposto “Si’, un facsimile! Ho detto “Figo”.
da Molto forte, incredibilmente vicino di J. S. Foer
Luisa
Attraverso un dispositivo, aprendo la porta d’ingresso si accesero le luci. Dentro regnava l’odore caratteristico degli appartamenti costruiti da poco. Sia i mobili che gli elettrodomestici non sembravano essere mai stati utilizzati prima di allora. Erano nuovi di zecca, appena tirati fuori dagli scatoloni e dalle buste di imballaggio. Sembrava che un architetto di interni avesse comprato in blocco mobili e apparecchi per arredare un appartamento modello da mostrare a potenziali acquirenti. Minimalista, funzionale, e senza alcun odore che sapesse di vita.
A sinistra dell’ingresso c’era una stanza che fungeva da soggiorno e sala da pranzo. Poi un corridoio, un bagno e in fondo due camere. In una c’era un letto matrimoniale pronto per l’uso. Tutte le imposte erano chiuse. Quando Aomame aprì la finestra che dava sulla strada, il rumore del traffico che intasava la tangenziale 7 entrò in casa simile al fragore lontano del mare. Richiudendo, non si sentiva più alcun suono. Fuori dal soggiorno c’era un balcone e da lì, guardando in basso, si scorgeva un piccolo parco oltre la strada.
Tratto da 1Q84 Libro secondo di Murakami Haruki.
Monica
Per il momento nessun contributo ma un suggerimento. Immagino che l’università sia a Milano, dove c’è Dialogo nel buio, all’Istituto dei Ciechi, un’esperienza che ho vissuto anni fa nell’allestimento a Palazzo Reale e che a distanza di tempo rimane molto intensa. Dal sito:
È un percorso che si compie in totale assenza di luce, accompagnati da esperte guide non vedenti. Un viaggio di oltre un’ora nella completa oscurità che permette di sperimentare un nuovo modo di “vedere”. Ci si affida al tatto, all’udito, all’olfatto e al gusto per vivere un’esperienza straordinaria, dove i ruoli si invertono e le barriere si abbattono.
Grazie Licia,
sono a Torino, dove anche qui l’Istituto organizza iniziative simili. Ho provato anni fa l’esperienza della cena al buio. La cosa più difficile è stata re-imparare a percepire i sapori, all’inizio assenti.
Per entrarci non devo abbassare nessuna maniglia, ne’ aprire alcuna porta. Il perimetro della stanza è quello stesso della mia coscienza. Non quello del mio linguaggio, come dice un filosofo. Sono già sempre dentro, senza neanche parlare. Se ci penso però li vedo, gli oggetti della mia stanza. Ma non sono fermi, fluttuano nell’aria. Ogni tanto qualcuno mi si avvicina più degli altri. Ma io penso ad altro e lui si allontana. Veramente non so se sono io ad allontanarmi o l’oggetto che fluttua nell’aria. Mi accade anche di vedere strane contrade, praterie e deserti. Sentire l’aria secca o l’umido della pioggia. Mi faccio sfiorare da odori intensi, come quello del bergamotto di calabria. Ma l’odore che mi piace di più è quello dei libri della mia libreria. Non è l’odore della carta, ma quello della polvere che vi cade sopra. Penso a quei granellini che con tanta pazienza vi si sono adagiati. Uno a uno, instancabilmente, senza fretta. Nella mia stanza ci sono tanti granellini di polvere che mi accompagnano ogni giorno, mi fanno compagnia e mi svelano il segreto dell’essere che si deposita con calma incessante sulla realtà. Ecco, cosa fa ogni granello di polvere nella mia stanza.
Dimenticavo: il brano è tratto da me. Emilio.
Segnalo “Viaggi nello scriptorium” di Paul Auster. In diverse parti del libro ci sono descrizioni dell’ambiente. Ecco parti dell’incipit:
Il vecchio è seduto sull’orlo del piccolo letto con le mani appoggiate a palmi aperti sulle ginocchia, la testa bassa, gli occhi al pavimento. Non si sogna nemmeno di pensare che nel soffitto proprio sopra di lui sia nascosta una macchina fotografica. A ogni secondo l’otturatore fa uno scatto silenzioso, producendo ottantaseimilaquattrocento fotogrammi per ogni rivoluzione della Terra. […] Nella stanza c’è un certo numero di oggetti, e sulla superficie di ciascuno è incollata una striscia di nastro adesivo bianco con una sola parola scritta a stampatello. Per esempio, sul comodino c’è la parola COMODINO. Sulla lampada c’è la parola LAMPADA. Anche sul muro, che non sarebbe a rigore un oggetto, c’è una striscia di nastro con scritto MURO. […] Ha indosso un pigiama di cotone a righe gialle e azzurre e un paio di ciabtte di pelle nera. Dove sia esattamente, non gli è chiaro. Nella stanza, d’accordo, ma in quale edificio si trova la stanza? In una casa? In un ospedale? In una prigione? […] Nella stanza c’è una finestra, ma ha la tendina abbassata, e a quanto ricorda lui non ha ancora guardato fuori. Lo stesso vale per la porta con il pomolo bianco di porcellana. E’ chiuso dentro, o è libero di andare e venire dove vuole?
[…] La biblioteca, che persino nei giorni di apertura è tranquilla, in quelli di chiusura lo è forse anche troppo. Sembra un luogo dimenticato dal tempo. O meglio ancora, un luogo che trattiene il respiro, sperando che il tempo non si accorga della sua esistenza. Se si attraversa il corridoio dopo la sala di lettura, superata la scritta “Ingresso riservato al personale”, vi è un piccolo vano con un lavabo e un microonde, dove i membri dello staff possono preparare o scaldare bevande. Subito dopo c’è la porta della camera degli ospiti, con una piccola stanza da bagno e un armadio. L’arredamento è composto da un letto singolo, un comodino con sopra un abat-jour e una sveglia, una scrivania con la sua lampada da tavolo e una cassettiera per i vestiti. C’è anche un angolo salotto, con delle poltroncine vecchio stile ricoperte di tessuto bianco. Non mancano un minifrigorifero e uno scaffale per conservare piatti ed alimenti. […] Dalla finestra rivolta a ovest si vedono gli alberi del giardino. Si avvicina la sera, e il sole, che ha cominciato a tramontare, brilla intermittente attraverso le criptomerie. […]
Kafka sulla spiaggia, Murakami Haruki
La stanza, più o meno quattro metri per cinque, si affacciava su viale Louis Armstrong con due finestroni oblunghi. Degli specchi senza foglia, completamente trasparenti, scorrevano sui lati e lasciavano entrare tutti gli odori della primavera tutte le volte che di fuori se ne incontravano. Dall’altro lato, un tavolo di quercia flessibile occupava un angolo della stanza. Due panche ad angolo retto correvano parallele a due lati del tavolo, mentre agli altri due lati c’erano alcune sedie intonate, con cuscini di marocchino azzurro. L’arredamento della stanza comprendeva, inoltre, un lungo mobile basso, trasformato in porta-dischi, un grammofono ultimissimo modello e un mobile, simmetrico al primo, pieno di fionde, bicchieri e di tutti gli altri utensili che si utilizzano per mangiare presso i popoli civili.
La schiuma dei giorni – Boris Vian
Ciao,
intanto che penso a descrizioni letterarie, ti segnalo questa bellissima pagina di NeU che potrebbe essere utile per il tuo lavoro
http://nuovoeutile.it/gli-spazi-della-creativita/
Nell’ Archivio Caltari ci sono le descrizioni delle stanze degli scrittori.
Ti ringrazio molto. La lunga frequentazione del blog di Annamaria Testa mi aveva già fatto conoscere l’archivio Caltari, che ho riletto e riguardato più volte, nel tempo. Proprio la distanza abissale fra il progetto di interior design e ciò che è “casa” per ognuno mi aveva affascinato. Forse l’idea è nata -a mia insaputa- proprio da Nuovo e Utile.
A proposito, da questi progetti prende ispirazione anche La stanza del traduttore, che mi sembra in tema con parecchi brani proposti qui, in buona parte tradotti.
(ho provato a inserire il link nel commento precedente ma deve essere stato intercettato dal filtro antispam…)
Vedo casualmente questo post. Ha ragione Licia: La stanza del traduttore (www.lastanzadeltraduttore.com) prende vita anche grazie all’Archivio Caltari. Se volete fare una visita la porta è sempre aperta.
Nello studio del medico c’era odore di cuoio nuovo e di olio di limone.
Il legno scuro della scrivania e delle sedie era liscio e lucido come vetro,
un’intera parete era coperta da cima a fondo
di libri in austere rilegature di cuoio,
coi titoli dorati impressi sul dorso.
“Anatomia di Gray”. “Indice del New England Journal of Medicine”. “Repertorio pediatrico”.
— Craig Clevenger, Il manuale del contorsionista, 2005, capitolo 8
Il bagno e’ all’interno della camera da letto,
sopra il lavandino ci sono un gancio e un armadietto a specchio con i medicinali […]
Un paio di collant e’ stato lanciato su una lampada.
Non briciole ma cracker interi spuntano dalla cresta grigia dell’onda delle lenzuola.
Una foto del Newyorchese fallonevrotico
si regge sullo stesso tipo di supporto triangolare dell’antipubblicita’ della cartuccia vuota.
Nel posacenere un sacchetto di marijuana e cartine Ez-Widers e semi.
Sul tappeto incolore ci sono libri
dai titoli tedeschi e cirillici aperti a forza, da spaccare le costole.
— David Foster Wallace, Infinite jest, 1996, pagina 280
La stanza era stata, in origine, una sala da ballo,
e Eddie Mars l’aveva trasformata solo il minimo indispensabile.
Niente bagliori di cromature, luci diffuse,
quadri di vetro fuso e poltrone di cuoio dai colori chiassosi.
Non c’era nessun segno dello pseudo-modernismo
del tipico locale notturno hollywoodiano.
L’illuminazione era data da candelieri di cristallo pesante
e il damasco rosa delle pareti era ancora il damasco rosa originario,
sebbene sbiadito dal tempo e scurito dalla polvere.
Era lo stesso damasco scelto apposta per accordarsi col parquet,
del quale era visibile solo un piccolo spiazzo,
lucido come uno specchio, davanti all’orchestra.
Il resto era coperto da uno spesso tappeto color rosa antico,
che doveva esser costato un occhio della testa.
Il pavimento era fatto di almeno dodici qualita’ di legno,
dal tek della Birmania alla quercia in diverse sfumature,
a un legno rossastro che assomigliava al mogano.
Era ancora una bella sala, anche se ora vi si giocava alla roulette,
invece di intrecciare compassate danze d’altri tempi.
Tre tavoli da gioco erano addossati alla parete di fondo,
li circondava una ringhiera di metallo,
che separava i croupiers dal pubblico.
A tutti e tre i tavoli si giocava,
ma quello centrale era il piu’ affollato.
–– Raymond Chandler, Il grande sonno, capitolo 22
A Luisa e ai tanti inattesi amici di tastiera che hanno avuto la compiacenza, fra sabato e domenica, di mettersi a trascrivere una così coinvolgente, emozionante selezione di stanze e climi, la mia gratitudine. E ho scoperto anche cosa leggere in vacanza! Grazie.
“La stanza era candida e luminosa, un nido di tele e cartine intessute di vapore e sole rilucente. Dalla finestra si vedeva l’azzurro intenso del mare. in seguito mi dissero che dalla clinica Corachan non si scorge nessuna distesa d’acqua, che le sue camere non sono nè bianche nè eteree e che in quel mese il mare era una tavola blumbea, fradda e ostile; che in quella settimana su Barcellona era caduto un metro di neve…” – Carlos Ruiz Zafon “Lombra del vento” – Ed. Oscar Mondadori, maggio 2004 – Incipit a pagina 421.
Cara Luisa e gentile Rodolfo, chissà se il mio contributo arriva per tempo!
Rodolfo, mi piace molto il suo progetto Design for all. Ho da poco iniziato un ricerca e riflessione sull’Abitare Consapevole, sullo Spazio Vitale, sulla percezione dello spazio, oltre la sua fisicità, attraverso le energie e le vibrazioni che lo strutturano e lo attraversano. Mi sono reso conto che noi architetti progettiamo, lo spazio e gli oggetti che lo popolano, in modo inconsapevole. E’ giunto il tempo di portare lo Zen ed il flusso vitale del Tao agli architetti; o forse è vero il contrario perchè sono gli architetti che se ne sono allontanati. Portiamo gli architetti al Tao. Chissà che le nostre esperienze non si possano incontrare e arricchire.
Ad entrambi un abbraccio di luce.
Caro Giampiero,
ai miei giovani insegnanti (io sono solo l’anziano che li allena) richiedo prima di vedere poi di visualizzare e raffigurare l’immateriale. Cosa c’è in una stanza? Solo gli arredi o il colore e il calore e la luce e l’aria e il clima e il silenzio e il ticchettio dei tacchi sul pavimento in legno e il verde del prato che, riflesso, illumina e colora la parete? Ogni percezione è una discontinuità e un’emergenza che si affaccia ai nostri sensi e modifica la condizione di benessere o malessere, agisce sull’umore e sulla serenità… Un progettista non può lasciare al caso questi aspetti ma deve essere in grado di pre-vederli per mitigarne le asperità. Il mio è un approccio olistico e scientifico, ecologico nel senso di Bateson.
I testi brevi e intensi trascritti dai tanti amici di cui si sente intenso il coinvolgimento emotivo e la passione, evidenziano che gli oggetti e gli spazi sono solo lo sfondo, la dotazione strumentale di servizio, che ben poco hanno a che fare, se non per gli impedimenti che spesso creano, con il senso del luogo dell’abitare. Ma questo apre a un discorso molto più ampio e non voglio rubare altro spazio alla nostra gentilissima ospite.
Ricambio l’abbraccio e… grazie ancora.
Buongiorno Rodolfo,
complimenti per la bella e interessante iniziativa!
Credo che il problema maggiore sarà quello di “allineare” la classe nel percepire oggetti, particolari e colori descritti in quanto ciascuno ha un proprio “vissuto”.
Magari all’inizio si potrebbe proporre agli studenti di “disegnare” o “ricostruire” attraverso libri tattili gli spazi in cui abitano o si muovono ogni giorno, questo per capire come ciascuno percepisce la realtà che lo circonda.
Tempo fa ho partecipato, con i miei bimbi, ad alcuni laboratori sui libri tattili e devo dire che ho/abbiamo scoperto un mondo che non conoscevamo. Personalmente ne sono rimasto affascinato e in parte sconvolto.
Purtroppo non ho descrizioni di stanze da segnalare … segnalo però l’articolo che avevo postato a suo tempo nel mio sgangherato blog con la speranza che possa fornire anche un piccolo contributo: http://alesatoredivirgole.wordpress.com/tag/libri-tattili/
Grazie Davide della segnalazione. È bello vedere lo spirito del progettista minuzioso sempre al lavoro, che entra nel problema, lo analizza, inizia ad asportare micron, a lucidare, qualche volta ad aggiungere materiale –chissà come si fa con l’alesatrice?– per farlo crescere rigoglioso.
Rodolfo,
come si fa ad aggiungere materiale con una alesatrice? Si può, si può, basta chiudere gli occhi e … aprire le porte della fantasia e della immaginazione:-)
Un saluto