Ieri pomeriggio, alla fine della due giorni formativa con assistenti sociali, educatori ed educatrici del CISAP (Consorzio Intercomunale dei Servizi alla Persona) di Collegno e Grugliasco, ero molto contenta, ma anche molto stanca.
In genere i miei allievi lo sono altrettanto, ma ieri l’osservazione di Claudia mi ha piacevolmente sorpresa. Lei no, non era stanca, anzi quasi rilassata, perché le era sembrato di fare “un’attività manuale”. Come il cucito o il giardinaggio. O meglio ancora, come fare la pasta.
Ha ragione. Il bello di lavorare sui testi è proprio la scoperta di quanto dia gusto “mettere le mani in pasta”, vederli cambiare, assottigliarsi o lievitare, a seconda delle diverse scelte che si fanno. Come l’arte panificatoria o il giardinaggio, scrivere è qualcosa di terribilmente concreto. Ci sono una materia prima da lavorare, una forma da dare, un obiettivo da raggiungere. Scoprire questa dimensione artigianale è al tempo stesso gratificante e rassicurante.
Solo che questa volta la materia era davvero delicata – la vita delle persone più in difficoltà come poveri, minori, anziani – e l’obiettivo importante, cioè scrivere relazioni chiare ed efficaci per un giudice che deve prendere decisioni che incideranno per sempre sulla vita di queste persone. Far sì che legga la relazione, talvolta molto lunga, fino alla fine, che presti attenzione anche ai minimi particolari, che colga bene il senso della proposta dell’assistente sociale, che attraverso le sue parole “veda” situazioni, case, persone, che capisca i problemi di situazioni familiari a volte drammatiche e molto intricate.
Forse è per questo che ero insolitamente stanca: era una materia nuova per me e sentivo tutta la responsabilità di guidare l’aula verso un cambiamento che riguardava sì il loro modo di scrivere, ma anche l’insieme di pensieri, atteggiamenti, resistenze, riflessioni che inevitabilmente lo accompagnano.
Ma, appunto, ero anche molto contenta. Soprattutto di aver conosciuto un altro pezzetto di Italia responsabile, appassionata, impegnata e profondamente civile, come tanto spesso mi è capitato negli ultimi mesi. Che non si scoraggia, che non rinuncia, anche quando le risorse si assottigliano fino a diventare un rivoletto. Sottile, ma proprio per questo ancora più prezioso.
Per abbandonare vecchie abitudini, burocratese, sintassi complicata, parole vuote e fredde e immergerci nel calore della vita ci ha guidati, ancora una volta, Italo Calvino:
“Dove trionfa l’antilingua – l’italiano di chi non sa dire ‘ho fatto’ ma deve dire ‘ho effettuato’ – la lingua viene uccisa”.
“La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza di un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi”.
Complimenti a te ed alle tue discenti, e a chi ha avuto l’idea che “le parole sono importanti!!!!” in un contesto lavorativo così delicato.
Conosco questa stanchezza e il piacere della conduzione di un’aula complessa. Questa è la sfida della formazione (*_))
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