L’ottimo TheWriter dedica il suo ultimo post al pericolo dell’eccessiva semplicità sintattica: (Don’t) put a stop to it.
Abbiamo martellato tutti per anni perché non scrivessero periodi contorti e chilometrici – soprattutto ma non solo sul web –, e sempre più spesso il risultato sono frasi smozzicate, brevi brevi, in testi senza ritmo.
A dire il vero in italiano lo notiamo meno, ma in inglese ci sono ormai siti e newsletter, anche di copywriter famosi, che non si possono più leggere, tanto sono pieni di punti e di frasi di una sola parola. Come scrivono a TheWriter, i periodi troppo lunghi lasciano senza fiato, ma con quelli troppo corti si rischia l’iperventilazione.
Se c’è qualcosa capace di trascinarci, di inchiodarci a un testo, è invece proprio la sintassi articolata (non complicata!), che ci porta rapidamente verso la fine grazie ai passaggi fluidi e necessari di frase in frase e a un ritmo piacevole, che asseconda anche il contenuto.
Ma il ritmo, si sa, è cosa sottile e inafferrabile, che non si mette alla fine come un ingrediente, una spezia saporita in più, ma nasce dall’insieme delle scelte che si fanno lungo tutta la redazione.
La ricetta ideale non esiste. Io sto sempre attenta a non scoraggiare i lettori con un periodo lungo all’inizio, dove privilegio una frase-ingresso più breve, che incuriosisca, crei un’aspettativa o dia una chiave di lettura. Solo dopo mi permetto periodi più lunghi e distesi. Quanto alla fine, amo le frasi-sigillo, più brevi, che chiudono riprendendo un’idea, un concetto chiave o invitano a fare o esplorare oltre. Ma non lo faccio studiatamente, né lo faccio sempre. Mi lascio trasportare io per prima dal ritmo e corro verso la fine come la lettrice di me stessa.
Una volta finito, però, osservo sempre la struttura che istintivamente ho dato al testo e al ritmo che questo ha preso. Una delle cose più belle e istruttive della lettura e della revisione.
Su questo blog leggi anche:
Il ritmo lentissimo di un treno di zeta
La macchina sonora della sintassi
Dietro la porta della frase lunga
Re-visioni da non perderei
Scrivere, per sprigionare una musica
Ritmi, danze e giochi di società
PS Se poi il ritmo, oltre che ascoltarlo rileggendo il testo ad alta voce, lo volete anche vedere, divertitevi col Sentence Tracker.
il ritmo, al pari dello stile, è un elemento tanto poco definibile quanto centrale nella scrittura; verrebbe quasi da definirlo un ‘tratto distintivo’ dell’approccio umanistico, se ciò non creasse problemi definitori e metodologici. Comunque se n’è occupato a più riprese Daniele Barbieri (soprattutto nella poesia, ma le osservazioni sono in parte generalizzabili): Questioni di ritmo (ERI, 1966), Nel corso del testo. Una teoria della tensione e del ritmo (Bompiani, 2004) e Il linguaggio della poesia (Bompiani, 2011).
L’ha ribloggato su My Scrapbooke ha commentato:
Oggi parliamo di ritmo nella scrittura con Luisa Carrada.
Sono molto d’accordo, ovviamente.
Aggiungo, ma credo di avere già annotato questa osservazione, è bello cercare la “musica” nelle parole.
La nostra lingua canta ed è giusto tenerne conto anche quando si scrive (*_))