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risali negli anni

25 Febbraio 2013

Scrivere a scuola (con gioia)

Tempo fa dedicai un post alle scuole di scrittura popolari, dedicate soprattutto ai ragazzi, che sono nate nel mondo anglosassone: Scrivere storie può cambiare un paese.
Non conoscevo analoghe esperienze italiane, che invece ci sono, come la Scuola Twain, “un progetto dedicato alla creazione di storie e di una nuova generazione di lettori e narratori”.
A segnalarmela è stata una delle docenti, Federica Campi, autrice dell’articolo Bambini e ragazzi, una lingua in superficie, in cui racconta la sua esperienza quotidiana nelle scuole e invita a considerare la scrittura meno una disciplina da apprendere e più uno strumento espressivo del mondo e del pensiero di bambini e ragazzi:

Finché il processo di conoscenza della lingua sarà tenuto lontano dal mondo personale dei bambini e dei ragazzi, sottratto alla loro dialettica di apertura e chiusura delle conoscenze acquisite e della ricerca di un senso nuovo (e questo potrà essere fatto, solo quando il bambino e il ragazzo saranno il punto di partenza e di arrivo del processo educativo), la lingua (la scrittura e la messa in moto del pensiero dentro di essa) rimarrà plastificata e destinata al fallimento – traslata, al massimo, in quella cultura superficiale di cui scrive nell’elzeviro del domenicale del Sole e 24 ore del 10 febbraio, Claudio Giunta (parlando del libro di Luca Serianni L’ora di italiano. Scuola e materie umanistiche, Bari Laterza, alla sesta edizione).

Solo quando la lingua dei bambini – la complessità e la pienezza del loro pensiero – non dovrà rinunciare a se stessa nell’incontro con la lingua italiana, i bambini e i ragazzi potranno usare la competenza linguistica e la tecnica locutoria acquisita e attraversare le sette porte dell’infinito della lingua (Tullio De Mauro), e farlo anche con qualche gioia.

L’articolo e il punto di vista che esprime l’ho ritrovato anche nella lettera di un professore di liceo pubblicata ieri sulla Domenica del Sole 24 Ore in risposta all’articolo di Claudio Giunta che citavo un paio di post fa:

Uno dei problemi, forse il più rilevante, è che per la quasi totalità delle ore di italiano (soprattutto nel secondo biennio nell’ultimo anno della scuola secondaria superiore) oggetto dell’insegnamento è la letteratura. Così, nella fase della produzione scritta, si invitano gli studenti esprimersi su tematiche di storia o di ermeneutica letteraria. Pertanto le esercitazioni scritte sembrano pensate non per formare cittadini in grado di scrivere correttamente in italiano in situazioni comunicative concrete, ma dei piccoli critici letterari in erba. Cui prodest? Non sarebbe forse più sensato aprire l’insegnamento della scrittura ad altri argomenti, a partire da quelli personali e sociali? Perché i ragazzi scrivono tanto più correttamente quanto più stanno scrivendo di un tema che li interessi da vicino: chi prende quattro nell’analisi di una poesia può prendere tranquillamente otto in un tema che chieda di parlare, poniamo, di calcio o di come occupi il tempo libero. Oppure, modesta proposta, si può benissimo continuare a partire dalla letteratura, ma non per farne l’oggetto di una raffinata quanto artificiosa analisi stilistica e formale, bensì per fare reagire il potenziale dei classici con il vissuto degli stessi ragazzi. Così si vitalizzerebbe uno studio come quello della grande tradizione letteraria, che spesso viene percepito dagli adolescenti come lontano se non staccato dal loro orizzonte psicologico.

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Un mostruoso stile elegante

Le porte dell’infinito

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0 risposte a “Scrivere a scuola (con gioia)”

  1. Cara Luisa, la scuola secondaria offre tante buone occasioni per confrontarsi con la scrittura viva: il professore di liceo che si riferisce alla storia e all’ermeneutica letteraria dimentica di ricordare che ben 3 su 4 tipologie della prova di italiano dell’esame di stato vertono su altro: la tipologia B (redazione di un articolo o di un saggio breve) porta gli studenti a riflettere a scelta su 4 ben diversi ambiti (artistico-letterario, sì, ma poi socio-economico, storico-politico, tecnico-scientifico) in cui cimentarsi per organizzare le proprie esperienze e il proprio pensiero in direzione argomentativa (e analizzare con occhio critico e argomentare la propria opinione serve nella vita di tutti i giorni). Le tipologie C e D altro non sono che tema storico e di attualità, e dunque capita che chiedano anche di scrivere di sport e tempo libero, e – perché no- del nostro immediato ieri perché il domani sia diverso, auspicabilmente migliore.
    Con queste tipologie ci si allena in tutto il biennio conclusivo, ma anche prima, e così non riscontro (così come non riscontro il mostruoso stile elegante) queste scollature tra scrittura e vita. Sarà forse perché insegno in un istituto tecnico anziché in un liceo? non credo. Ho insegnato anche al classico e allo scientifico. Sono piuttosto propensa a credere che gli insegnanti possano e debbano eludere i condizionamenti del contesto (nei licei – ma non solo- esiste spesso la gara tra docenti a chi rende gli alunni più edotti) e abbiano appunto il coraggio e l’obiettivo di far percepire la scrittura come lo “strumento espressivo del mondo e del pensiero”. Accade. Giuro che accade! Grazie delle tue riflessioni e consigli, sempre preziosi.

  2. Cara Luisa,
    è un piacere constatare che la maestra di italiano di mio figlio, in terza elementare, li avvicini alla poesia e alla scrittura continuamente. Gli ha dato da imparare a memoria varie poesie (pare anacronistico, sì, ma non lo è: mio figlio ne è felicissimo) e per domani ne deve inventare una di sua iniziativa sull’inverno. Legge loro continuamente brani interessantissimi e gli dà magari da inventare il finale della storia. Stimoli continui, che allargano la mente di questi bambini. Per fortuna c’è ancora chi sa insegnare bene!

    Luisa
    ps: grazie per la dritta che ci hai dato sulla “Grammatica in salsa horror”. Babbo Natale ha provveduto al regalo e io e mio figlio lo leggiamo tutte le sere insieme, su tua indicazione.
    Lo stiamo quasi per terminare e, ti assicuro, che solo la stanchezza (più mia che sua, lui non smetterebbe mai 🙂 ) ci impedisce di leggerlo tutto d’un fiato!

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