La lunghissima vita artistica di Michelangelo – muore alla soglia dei novant’anni – si apre e si chiude con una Pietà, una delle espressioni più strazianti e intense del dolore umano.
Quando scolpisce la Pietà che ancora ammiriamo in San Pietro ha solo 24 anni ma è già rivoluzione e perfezione assoluta.
Rivoluzione, perché come farà sempre d’ora in poi, stravolge o azzera tutte le iconografie precedenti. La Madonna non è più la donna dolente e quasi anziana delle Pietà medievali o fiamminghe, ma una ragazza fresca e giovanissima, addirittura più giovane del Cristo stesso. Ai bigotti e invidiosi indicò la sua fonte, Dante, il quale nel Paradiso aveva definito la Vergine “figlia del tuo figlio”: anche lei, umana come tutti noi, è figlia di Cristo.
Perfezione assoluta, perché mai nessuno prima – e nessun altro dopo – rappresenterà il corpo umano con tanta precisione e tanta bellezza: della Vergine vediamo solo le mani sottili e l’ovale smaltato del viso, ma ne intuiamo il corpo sotto i panneggi che già contengono quelli di Bernini e di tanta scultura barocca; di Cristo scorriamo ogni muscolo, vediamo ancora pulsare ogni vena, nell’abbandono della morte che sembra appena avvenuta.
Giorgio Vasari seppe meglio di tutti dare espressione a quello che ancora oggi ci appare come un “miracolo”:
“certo è un miracolo che un sasso da principio senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezione che la natura a fatica suol formare nella carne”
Michelangelo ancora più bravo della natura dunque. Un insieme di “artificio” e “grazia”, cioè di sapienza e mestiere nella scultura unito alla bellezza spirituale, alla bellezza dell’anima secondo l’accezione cinquecentesca di “grazia”.
Anche l’ultima opera di Michelangelo è una Pietà. La teneva a casa sua e vi lavorò ancora nelle sue ultime ore, come a una preghiera.
Ma nella Rondanini, ora al Castello Sforzesco di Milano, della perfezione e della contemplazione giovanile non c’è più nulla.
Superfici ruvide al posto della lucentezza smaltata, scavi e solchi al posto dei muscoli torniti e dei panneggi gonfi. Michelangelo è andato per sottrazione continua, fino a ritrovare e a consegnarci l’essenza, la sola idea della Pietà, anticipando in una sola opera tutta la scultura moderna e contemporanea.
Eppure la Pietà Rondanini non parla solo alla nostra sensibilità, abituati da oltre un secolo all’arte non rappresentativa. Un semplice impiegato del tribunale di Roma, all’indomani della morte dell’artista, stendendo l’inventario dei beni della casa, descrisse una “figura di uno Cristo e di nostra Donna a quello attaccata” cogliendone il fuoco concettuale e poetico.
Madre e figlio sono una cosa sola. Lei non lo tiene più in grembo, ma si riappropria del figlio che ha generato, lo tira a sé e lo rifà fisicamente suo, come un parto al contrario. Così l’artista novantenne medita sulla sua morte come ritorno nel grembo della madre.
Nella meravigliosa conferenza che il direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci ha tenuto stamattina all’Auditorium Parco della Musica di Roma c’era tanto ma tanto di più, ma il filo conduttore della Pietà mi ha veramente commossa e ho voluto fermarlo. E condividerlo.
Grazie. Bellissimo
http://thegameofwords.wordpress.com/2011/11/21/dallinfinito-il-finito/
Qualche tempo fa scrissi questo nel mio blog… Io adoro Mighelangelo e i suoi chiariscuro nella pietra.
Grazie, Luisa.
Davvero un bel post, fa riflettere tanto.
bravissima, come sempre del resto…
Al lavoro per sottrazione di Michelangelo Jon Kabat Zinn, nel suo bellissimo libro “Riprendere i sensi”, paragona la meditazione di consapevolezza
“Ricordiamoci che Michelangelo diceva di limitarsi a togliere quel che andava tolto dal blocco di marmo rivelando la figura che egli vedeva già presente lì dentro – con lo sguardo profondo dell’artista – in un certo senso fin dagli inizi.”
grazie Luisa
Grazie Luisa.