Credo che leggerò senz’altro L’ora di italiano. Scuola e materie umanistiche di Luca Serianni. Ne parlava molto bene ieri Claudio Giunta sulla Domenica del Sole 24 Ore nell’articolo Superficialmente colti.
Ma lo leggerò soprattutto perché il prof. Serianni scioglie da anni ogni mio dubbio sulla lingua attraverso i suoi libri, soprattutto la Grammatica italiana, e ne ammiro sempre la lucidità e l’equilibrio.
L’articolo di Giunta, che vi invito a leggere per intero, tratta in gran parte della scrittura, come anticipa il sommario: La scuola italiana promuove un ideale dello “scrivere bene” che produce testi mostruosi: specchio di ciò che va riformato.
Quell’ideale produce testi mostruosi anche nel mondo del lavoro, dove ti ritrovi sempre qualcuno a obiettare: “Sì, ma allora perché a scuola… ?”
Giunta prende lo spunto dall’analisi di Serianni sul saggio breve di un maturando:
Il maturando scrive male per voler scrivere bene. Usa una giuntura come “interpretazione univoca”, una metafora come “prolungamento del corpo”, verbi come “permanere” e “simboleggiare”. Questo non è linguaggio di un incolto, è il linguaggio di qualcuno superficialmente colto che cerca di mostrarsi più colto di quello che è. E perché questo sforzo? E perché quest’idea sbagliata dello “scrivere bene”? Perché quest’idea sbagliata è quella che spesso, esplicitamente o no, la scuola trasmette gli studenti.
Se nel linguaggio quotidiano tutti diciamo “ci sono”, per iscritto si insegna “vi sono”; se il linguaggio quotidiano tutti diciamo “problema” o “tema”, per iscritto si insegna a dire “problematica” o “tematica” ottima; nessuno direbbe mai “egli”, però lo scrive. S’intende che scrivere come si parla non va bene. Ma non va bene nemmeno scrivere come se scrivere volesse dire indossare l’abito della domenica. Invece l’obiettivo di molti studenti è proprio questo, scrivere “elegante”, e per farlo non trovano di meglio che adoperare stilemi, locuzioni e formule fisse del linguaggio televisivo, burocratico, giornalistico. Stando così le cose, prima ancora di insegnare a “modulare la scrittura” a seconda dei “diversi contesti e scopi comunicativi” (come suonano le indicazioni nazionali per i licei, sempre troppo ambiziose), il docente dovrebbe fare uno sforzo di semplificazione: non “le giovani generazioni” ma “i giovani”; non “faccio ricorso”ma “ricorro”; non “attraverso la decifrazione della scrittura di Petrarca è possibile la comprensione del percorso artistico delle sue poesie” ma “decifrando la scrittura di Petrarca si comprende in che modo le sue poesie cambiano nel tempo”, eccetera.
Quel mostruoso stile elegante fa danni ben oltre la scuola perché arriva indenne nel mondo del lavoro, e in più con il bollino “Imparato a scuola!”
Come ha detto più volte Tullio De Mauro (parafraso, non ho una fonte precisa): è facile scrivere difficile, ma il difficile è scrivere [e parlare] in maniera chiara e comprensibile alla maggior parte delle persone!
[…] L’articolo e il punto di vista che esprime l’ho ritrovato anche nella lettera di un professore di liceo pubblicata ieri sulla Domenica del Sole 24 Ore in risposta all’articolo di Claudio Giunta che citavo un paio di post fa: […]
Probabilmente il “mostruoso stile elegante” trova la sua massima espressione nella formulazione di leggi e leggine incomprensibili ai più, tanto care agli azzeccagarbugli.