Sorprendente, una domenica pomeriggio, trovare ispirazione in un libro che insegna a scrivere canzoni (Scrivere una canzone, di Alfredo Rapetti Mogol e Giuseppe Anastasi). Talmente sorprendente che, dopo averne sottolineato alcuni brani per me, ho deciso di copiarli e condividerli con voi come viatico e incoraggiamento per la settimana che inizia:
Pensate a ogni parola come fosse l’anello di una catena. Mogol parla sempre di un filo d’acciaio che, dall’inizio alla fine, deve tenere legata ogni frase all’altra in una successione logica, in un andamento consequenziale, ma possibilmente non prevedibile.
Più un brano è astratto, meno vivido sarà il sogno che scatena nella mente dell’ascoltatore o del lettore. Ci sono mille modi diversi di sentirsi felici, tristi, annoiati o irritati; l’aggettivo astratto non dice quasi nulla, mentre il gesto preciso inchioda l’unica sensazione che si addice a quel momento. Descrivere quindi gesti concreti, non idee astratte.
Oltre che leggibile, tutto deve essere dicibile. Ciò che scrivete “deve poter essere raccontato al telefono senza rendersi ridicoli”, come dice Mogol.
Il lavoro di limatura è necessario: bisogna che ci riconosciamo in ciò che abbiamo scritto, bisogna riuscire a leggere il testo con gli occhi di un altro, percependone forza e significato, apprezzandone la struttura, finché non ne siamo pienamente orgogliosi. Il piacere di arrivare a un risultato a volte inaspettato è una delle componenti essenziali della buona scrittura, l’intima soddisfazione che si prova quando si ha davanti, sul foglio, una minuscola porzione di vita che un attimo prima non esisteva.
La differenza sostanziale tra il professionista e il dilettante: il secondo cede in fretta a tutte le tentazioni e, subito sedotto, si accontenta, ritenendosi più che soddisfatto; il professionista, invece, resiste e vaglia molto attentamente ogni idea, come se non si fidasse mai: cede soltanto quando arriva l’intuizione che ritiene giusta.
Da subito, appena mi metto al lavoro, terrò in mente il “filo d’acciaio” che deve legare una frase all’altra. La chiave, anche per chi scrive cose molto più prosaiche, è tutta lì, in quell’andamento consequenziale, ma possibilmente non prevedibile.
ieri ho visto uno speciale su Battisti e pensavo a Mogol, a quei suoi testi indovinati, precisi, e tuttavia semplici.
Buona sera Luisa,
È quello che sempre mi propongo quando preparo una lezione di yoga : un filo d’acciaio che leghi un’asana all’altra e mantenga la mente ferma, un andamento consequenziale in modo che il corpo il corpo passi spontaneamente da una forma all’altra, un finale non prevedibile nellincontro con sensazioni ogni volta diverse.
Grazia,
una sequenza non è altro che un discorso, solo costruito con il linguaggio del corpo. Ma le regole della costruzione, di asana in asana, sono sorprendentemente le stesse.
Chi pratica lo yoga e la scrittura ha l’impressione di fare la stessa cosa, con un diverso linguaggio. Ma l’uno insegna a usare meglio l’altro, in una fluidità che certe volte ci appare magica, e invece è semplicemente logica.
Luisa
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