Quando posso, non manco mai un appuntamento con Paul Klee. Così mi sono affrettata a vedere la mostra che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna dedica ai suoi rapporti con l’Italia. Poche opere, una parte infinitesimale rispetto alla sua sterminata produzione di circa 10.000. Tra i grandi del novecento solo Picasso credo sia stato altrettanto prolifico.
Ma il numero non importa perché ogni “cartolina” (la gran parte delle opere esposte sono di questo formato) di Klee è un microcosmo completo e perfetto. Klee non è più figurativo, non è ancora né sarà mai veramente astratto: nel pieno esplodere delle avanguardie artistiche del primo novecento, lui si colloca e ci porta in un luogo altro, che però riconosciamo subito come anche nostro. Che si tratti di uno dei suoi giardini notturni, di una dedica scritta in un alfabeto inventato o di un pullulare di quadratini luminosi, sappiamo che lì ci siamo già stati. Quando? Da bambini, forse. O in sogno. Per questo i suoi quadri, il cui soggetto non sapresti definire se non con l’aiuto dei suoi poetici titoli, sono sì misteriosi, ma non difficili. Raffinatissimi, e al tempo stesso popolari.
Quel luogo lui sa benissimo qual è e ce lo ha raccontato in tante pagine dei Diari, che scrisse durante tutta la sua vita, da quando era un giovane ancora indeciso tra la pittura e la musica fino alla morte avvenuta in Svizzera, mentre già arrivano gli echi degli orrori della seconda guerra mondiale.
Quel luogo è il “cuore della creazione, dove il regno minerale, quello animale e quello vegetale si incontrano”. Un luogo dove tutto può nascere e succedere, e per questo così interessante e illuminante per ciascuno di noi.
Se nella mostra romana di qualche anno fa ero rimasta colpita dal Klee poeta, questa volta è stato il Klee “creatore” ad affascinarmi. Crea i suoi piccoli mondi con un’estrema economia di mezzi: Il parco una sera sul tardi è una sinfonia di verdi, solo verdi; la Sibilla è un’eco michelangiolesca ridotta a un gomitolo di fili viola scuro, l’idea stessa della sibillinità; È ardente, una sola fiammata, non sai se di distruzione o di passione; Superscacco è un tappeto, un grande campo di gioco in cui si affrontano il blu e il rosso in una pacifica battaglia di ritmi.
E in una mostra dedicata ai viaggi, anche le città “non riproducono il visibile, ma rendono visibile”. Cosa? La loro idea, la loro quintessenza.
Roma è un mosaico luminoso in cui nascono croci e colonne, si fondono cristianità e classicità.
Nel centro della creazione possono nascere anche nuove città. In Americano-giapponese avviene l’incontro tra oriente e occidente: i grattacieli di Manhattan vegliano sulle delicate architetture nipponiche in una città che si illumina improvvisamente di giallo.
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