Su Repubblica di ieri c’era un articolo molto carino, in cui Stefano Bartezzaghi mette in guardia nei confronti del “brevismo” – la dittatura della rapidità per inseguire risultati immediati – dai mercati finanziari alle ristrutturazioni di impresa, fino alla scrittura:
Per fare l’esempio più a portata di mano, la tecnologia della scrittura ha accelerato tutte le fasi di redazione, trasmissione, pubblicazione di un testo, a costo di una miniaturizzazione degli strumenti che rende facilissima la produzione di errori e difficilissima la loro correzione. Li si ritroverà stampati irrimediabilmente sulla pagina e la voce della nonna risuonerà dalle più quiete lande della memoria: «Presto e bene, non si conviene». Ma poi fossero solo i lapsus e i refusi! Questi pesano come decagrammi in una complessione obesa. I guasti del brevismo sono assai più profondi, poiché finiscono per portare a quel punto critico e cruciale in cui il quantitativo diviene qualitativo. Per l’editoria libraria, il passaggio ai rendiconti trimestrali ha portato l’ansia da prestazione e l’angoscia del respiro breve (e brevista) a livelli incompatibili con il ragionamento. Come ci sono investimenti che a breve termine non possono incominciare a essere fruttuosi, così in ogni settore ci sono importanti risultati che implicano tempi lunghi, sedimentazioni, ripensamenti: dal trattato di filosofia alla stagionatura dei legni pregiati, dal ragù napoletano all’inchiesta giornalistica approfondita, dalla laurea in cardiochirurgia all’affinamento del barolo. Di un eventuale mondo fatto (esclusivamente) di tweet, birrette, trafiletti e sveltine a preoccupare non è il decremento in termini di estetica ed edonismo (che pure): a preoccupare è l’affanno.
L’affanno, come lo conosco bene. Ho passato il mese di agosto a impegnarmi nella cura disintossicante: disconnnessione totale, yoga a gogò, passeggiate nel parco, ore seduta al bar, letture lunghissime, mostre impegnative, di quelle che se non leggi i pannelli non puoi seguire e godere.
L’impegno ha pagato. Sono tornata alle scritture brevi di questo blog e di Twitter con più entusiasmo e più cose da dire, e con un atteggiamento più pacato nei confronti del lavoro, quello quotidiano come quello della stagione che ricomincia. Riesco persino a leggere le mail per intero, arrivando a scovare in fondo la cosa più importante.
Così, quando stamattina ho letto su Repubblica della nuova iniziativa Storiebrevi, racconti e novelle accessibili dal cellulare, da leggere in 10 minuti al massimo, mi è preso un colpo. Ho letto (velocemente) e al perentorio “Inizia subito!” ho chiuso tutto. Le storie brevi saranno bellissime, ma non sono per me. Almeno, non adesso.
Io anche…e mi chiedo: la lentezza non può essere la regola e non l’eccezione?
A volte ci vuole la lentezza, a volte ci aiuta la velocità.
Ci sono fasi della scrittura, per esempio, che si giovano dei ritmi calmi: la raccolta delle informazioni, la revisione. Altre che esigono velocità, per esempio la prima bozza. Che felicità seguire il ritmo! Questa è una sana velocità. Non c’è sprint senza un po’ di adrenalina.
A ispirare questo post è stato il malessere che ho sperimentato negli ultimi mesi. Avevo sempre la sensazione di essere indietro, di non fare in tempo a leggere tutti i tweet… allora se senti di essere un po’ borderline è meglio che ti dai una calmata. E in piena estate la terapia della lentezza ci sta proprio bene… per riprendere slancio 🙂
Vorrei tornare a scrivere senza la morsa del tempo che batte martellante sul mio collo. Vorrei riabbracciare le parole e farle nascere a nuova vita, come quando scopri per la prima volta l’alba e capisci che fino ad ora non hai fatto altro che dormire. Vorrei poter rileggere ad alta voce quello che scrivo senza il cronometro di un orologio puntato sull’email: meno tre, meno due, meno… oddio! ancora non ho finito di correggere. Vorrei ridere perché un refuso scompigliato ha fatto capolino in una frase che non gli apparteneva. Vorrei lasciarlo lì per simpatia. ‘Toh, lo scrittore ha sbagliato… somaro’… ‘Toh, lo scrittore ha un’anima, mica male…’. Vorrei sedermi al parco e sentire le parole ribollirmi nel sangue. Fuoriuscire come linfa vitale dalla polla della mia creatività. Vorrei soltanto scrivere divertendomi, e non stare sempre all’erta per uno stile obbligato e frasi fuori battuta massima. Vorrei, e quasi quasi lo faccio, scrivere per sempre.
Grazie Luisa,
Anna
La questione “tempo” è imprescindibile in questo mondo, il tempo è un convenzione che ci siamo dati e che ci ha reso schiavi. Esco dal lavoro alle 18:30 e alle 19:00 il supermercato vicino a casa chiude… allora vado di corsa. La consegna del lavoro è anticipata di mezz’ora perché il capo deve andare… (lasciamo stare dove dovrebbe andare…) devo correre perfare “in tempo”. I cartelli luminosi delle autostrade ti danno i tempi di percorrenza, alla steak-house vicino al cinema devi avvertire il personale se dopo cena andrai a una proiezione e a che ora sarà così che possano servirti per tempo… hai una pausa pranzo di due ore? Tempo sprecato. Hai una pausa pranzo di mezz’ora? Giusto il tempo di un panino al volo…
Ho idea che tutto il sistema sia basato sull’accellerazione, lenta e costante (strano, no?). In maniera inesorabile stiamo correndo sempre di più, perché le giornate non bastano mai, i w.e. son sempre troppo corti, le serate volano via.. Inutile chiedersi verso cosa stiamo correndo. Esempio assurdo ma veritiero, se cammini lentamente per i corridoi degli uffici, prima o poi qualcuno in maniera sgarbata o risentita te lo farà notare (io ho la mia tecnica, passo lungo ma lento, fogli in mano ben tesi davanti al volto, come se stessi leggendo…).
[…] Lo sapevate che le lettere si dividono in gruppi e che possono essere a onde e aste, a rimbalzo, a uovo, a chiocciola e a zigzag? E che ognuna ha la sua direzione? Mi sa che prossimamente un po’ di calligrafia farà parte della mia terapia della lentezza. […]