Oggi, mentre me ne tornavo in treno, ho cominciato la lettura del “numerone” agostano di Internazionale.
Si apre con un breve ma bellissimo articolo di Antonio Muñoz Molina, dedicato alla lettura d’estate.
È talmente in sintonia con il mio stato d’animo, che ne riporto alcuni passi:
Durante l’anno mi attirano, mi piacciono, non mi piacciono, mi annoiano o mi entusiasmano libri molto diversi, non tutti di narrativa: libri di storia, di divulgazione scientifica, di musica o semplici pettegolezzi biografici. Ma basta che arrivi l’estate e la promiscuità delle mie letture cede il passo al nutrimento del romanzo: il romanzo lungo e complicato, il romanzo che ci obbliga a vivere dentro le sue pagine, il romanzo che è come una casa di grandi stanze appartate e come un viaggio, come una di quelle traversate antiche che duravano settimane, come i viaggi definitivi di cui parlano proprio alcuni di questi romanzi: Passaggio in India di E.M. Forster, il viaggio del Pequod, i sette anni di ritiro del giovane Hans Castorp nella Montagna incantata, l’eterno viaggio in treno in Siberia durante il caos dei primi tempi della rivoluzione che è la spina dorsale del Dottor Živago, quello dello sfortunato Lord Jim ai limiti dell’infamia e della redenzione.
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Il caldo e i romanzi. L’ozio e i romanzi. La lettura dei romanzi come espressione perfetta dell’ozio. Letteratura d’evasione di prima scelta. In un modo o nell’altro in estate il tempo rallenta e, anche se dobbiamo lavorare, gli obblighi sembrano meno pressanti. In questo stato d’animo, il grande romanzo esprime il suo fascino più seducente e solo attraverso la seduzione la letteratura esercita il suo effetto: ci offre la possibilità di abitare temporaneamente, come per ipotesi, in un mondo parallelo a quello della realtà quotidiana, di sperimentare attraverso quel mondo altre vite che sono diverse dalle nostre, ma che nella loro peculiare estraneità ci diventano familiari. È un esercizio intellettuale molto sofisticato, eppure è alla portata di tutti, ed è così tipico della nostra condizione che i maggiori esperti del campo sono i bambini, sempre pronti a giocare a qualcosa senza risparmiarsi o a essere qualcuno con tutta la convinzione possibile, sapendo allo stesso tempo che si tratta di un gioco. Sappiamo che Jay Gatsby o Juri Živago o il Jim di Conrad non esistono e non sono mai esistiti, e allo stesso tempo proviamo un immenso dolore nel leggere della loro morte. Oggi si dice che i lettori hanno un’attenzione molto limitata e frammentaria: i romanzi sono la sfida e la ricompensa di un’attenzione che si mantiene viva nel tempo, di un piacere che è più profondo proprio perché non si esaurisce in una fruizione istantanea. E per l’altra epidemia contemporanea, l’ipertrofia dell’io, i romanzi offrono il magnifico rimedio dell’immersione in altre vite, e quindi un sollievo temporaneo dall’ossessione per noi stessi, per la registrazione di ogni nostra minima inappetenza o rifiuto, di ognuno dei “mi piace” o “non mi piace” che sembra obbligatorio annunciare in pubblico in ogni momento.
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I romanzi chiedono tempo e lo restituiscono ricolmo: in poche ore di lettura il tempo si dilata abbracciando anni, vite intere. Chiedono anche solitudine e la restituiscono rafforzata e abitata.
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[…] E per l’altra epidemia contemporanea, l’ipertrofia dell’io, i romanzi offrono il magnifico rimedio dell’immersione in altre vite, e quindi un sollievo temporaneo dall’ossessione per noi stessi, per la registrazione di ogni nostra minima inappetenza o rifiuto, di ognuno dei “mi piace” o “non mi piace” che sembra obbligatorio annunciare in pubblico in ogni momento.
Antonio Muñoz Molina in Letture d’estate di Internazionale 3/23 agosto 2012
Il romanzo ha sicuramente una dimensione ottimale, in quest’epoca di frammentazione dell’attenzione, ma io sono più preoccupato del fenomeno opposto.
Amo i racconti di fantascienza, il modo in cui dicono quello che devono senza divagare, puntando tutto sulla trasfigurazione, sulla fantasia, sull’allegoria, ma ad oggi nessuno pubblica più racconti (tantomeno di fantascienza). Sono rari persino i romanzi, perché tutte le case editrici, e buona parte degli autori, puntano sulle serie infinite e prolisse di dozzine di romanzi, sterili, vuoti di idee se non di informazioni.
Non ci ha disgustato un ‘Twilight’: abbiamo dovuto sorbircene tre, mentre altri episodi saranno in gestazione. Harry Potter aveva bisogno di esprimersi attraverso 7 (sette!) romanzi. Fruibilissimi, per carità! E anche insospettabilmente arguti, se letti con occhio smaliziato.
Il Trono di Spade è stato tradotto in telefilm, e mi ha catturato per la qualità della messa in scena, ma possibile che lo scrittore abbia superato la decina di libri sullo stesso tema fantastico?
È possibile ritornare al sano romanzo? Io ho citato casi legati al mio immaginario di riferimento, di nicchia, ma le sfumature di grigio, nero e rosso? Le trilogie di uomini che odiano le donne?
Possiamo intraprendere insieme una crociata affinché gli editori si rifiutino di pubblicare schifezze ricalcate da orrori precedenti dello stesso autore?
Auto-educhiamoci a resistere alla tentazione della serialità e piuttosto acquistiamo un libro diverso, di un altro autore. Non cediamo alla stasi e all’abitudine. Mi aiuti, per favore, in questa campagna assolutamente personale