Qualche giorno fa il Wall Street Journal si è insolitamente occupato di grammatica: This Embarrasses You and I*.
Lo spunto: sono sempre di più i manager che ne lamentano la scarsa padronanza nei loro collaboratori. I più giovani, abituati all’informalità dei social media, scriverebbero report imprecisi, testi promozionali pieni di errori e lettere ai clienti fin troppo amichevoli.
C’è chi rimedia imponendo che i testi prima di uscire siano rivisti da uno o più colleghi e chi fa perfino fare un test linguistico prima dell’ingresso in azienda.
Non so se, come pensano alcuni, pian piano si affermerà una “nuova norma”, più informale e più vicina alla lingua parlata. Di certo oggi ci aspettiamo che un’azienda sappia modulare il suo tono di voce a seconda del canale che usa. Il refuso e le virgolette in più o in meno sui social media non mi fanno né caldo né freddo, ma dalla lettera della banca con l’estratto conto o le nuove condizioni mi aspetto chiarezza e precisione assolute, altrimenti mi infastidisco o insospettisco subito.
Ma per la mia esperienza in Italia il problema non è tanto la formalità o l’informalità quanto l’incapacità di schiodarsi dal burocratese o dal corporatese. Unito alla difficoltà di strutturare i testi dalla parte di chi legge e dovrà “usare” le informazioni, costruisce muri altissimi. Verso cittadini e clienti, ma anche all’interno, e persino nella testa di chi scrive. Eppure, abbattuto quel muro, è possibile scoprire che naturalezza (questo termine mi piace molto di più di informalità!) e precisione possono andare d’accordissimo e che imparare a modulare la propria voce è e quella dell’azienda è una bella disciplina mentale, oltre che fonte di gusto e divertimento.
Assolutamente d’accordo sull’incapacità da parte degli italiani di schiodarsi dal burocratese! E penso soprattutto all’esempio di comunicazioni aziendali dirette ai dipendenti: con quale compiaciuta alterigia di comando vengono presentate informazioni che sarebbero piuttosto sciolte e concrete, costruendo in questo modo quei muri altissimi nella testa di chi legge che perpetuano la mistificante distanza del potere. Anche a questo serve la forma di una lingua.
“imparare a modulare la propria voce è quella dell’azienda” non dovrebbe essere:
“imparare a modulare la propria voce a quella dell’azienda” ?
Oppure ho capito male io ?
Walter Marguccio
no, ma mi è scappato un refuso: è una e congiunzione, non verbo
grazie della segnalazione
Luisa
perdoni il mio, di refuso, visto che ho pensato ad una preposizione anziche’ ad una congiunzione.
Colgo l’occasione per farle i complimenti per il blog: davvero ricco di notizie interessanti, lo considero una vera boccata di ossigeno in mezzo a tanti, troppi siti che comunicano solo scempiaggini
Walter Marguccio
Il burocratese è un vizio che devo togliermi; altrimenti mi troverò, sola, al bar, a chiedere al mio vicino di tavolo perché se dico: “Sarebbe cosa gradita avere la sua presenza a casa mia verso le ore 20 di sera”; l’altro non si presenta all’appuntamento?
Anna
Naturalezza e precisione.
Si, mi piace molto come accoppiata.
Ho provato più volte ad essere chiara e naturale, scrivere lettere semplici con parole di uso quotidiano quando possibile; tutto questo per far sentire il cittadino che la riceve aiutato a capire l’errore che ha commesso e non messo all’angolo.
Cosa ho ottenuto? Niente perchè quelle lettere sono rimaste solo bozze sul mio PC, sostituite da sterili e fredde lettere altisonanti… al mio responsabile non piace la semplicità e la chiarezza!!!
Credo che dipenda molto dall’obiettivo che si vuole raggiungere. La posta di banche, uffici del fisco ed altre cose simili non sarà mai chiara. Lasciare il lettore nel dubbio in modo da instillare in lui il timore fa parte del gioco.
[…] la guida si riferisca a un settore delicato come quello della salute la rende ancora più preziosa. Naturalezza e precisione, dicevo qualche giorni fa: nella guida ne abbiamo un ottimo esempio. In bibliografia ho trovato un […]
Ieri sono andato in posta a ritirare una raccomandata, con la ricevuta che diceva “La S.V. è pregata…”. Come mai non mi sento nobilitato?