Qualche mese fa su questo blog ho scritto un breve ma sentito inno alla copia.
Mi ha confortato – e confermato in questa mia piccola mania – trovarne un altro, sull’inserto Lettura del Corriere della Sera: Com’è bello copiare di Alessandro Piperno. Ben più lungo e argomentato della mia piccola nota estemporanea.
Piperno prende spunto dal Seminario dei luoghi comuni di Francesco Pacifico, un libro che ho già messo nel mio carrello perché l’idea mi sembra semplice e bellissima: 37 passi celebri di altrettanti classici della letteratura, analizzati nei dettagli e i meccanismi più minuti.
Ognuno lo può fare con i brani che ama di più.
Piperno lo fa con Flaubert:
… copiare le prime tre pagine de L’educazione sentimentale di Flaubert è un piacere dei sensi che mi concedo di frequente.
Flaubert pensava che scrivere significasse risolvere problemi.
Problemi quotidiani: togli un aggettivo, metti una virgola, alleggerisci la frase, non scadere nel sentimentale e, per carità di Dio, non commettere imprecisioni… Copiare Flaubert significa farsi carico di tutti i problemi che lui ha dovuto affrontare. Ma significa anche godersi soluzioni di stupefacente eleganza. Copiare Flaubert ti fa capire che i problemi non vanno risolti tutti insieme, e una volta per sempre. Ma uno per volta, nella desolante consapevolezza che la giusta correzione di oggi sarà soggetta domani a una correzione ancora più giusta. E così via all’infinito. Per quanto possa sembrare paradossale, e per quanto sia la negazione di un noto cliché, la perfezione in letteratura si raggiunge attraverso continue approssimazioni.
Io ieri, in riva a un lago, ho pensato che avrei voluto farlo con un brano di un racconto di Alice Munro, Ortiche. Ero col Kindle e mi sono limitata a rileggerlo più volte. Il lusso della copia me lo concedo ora, così condivido:
L’acqua era grigio acciaio, e più ancora che scorrere pareva ribollire come la superficie di uno stagno sotto la sferza delle intemperie. Tra il fiume e noi si stendeva un prato incolto, tutto fiorito. Verghe d’oro e non-mi-toccare dalle campanule gialle rosse e poi quelle che mi sembravano ortiche in fiore, con i loro piccoli grappoli rosa -violacei, e aster selvatici. E poi vite vergine, avviluppata intorno a tutto quello che trovava e aggrovigliata a terra. Il terreno era morbido, non troppo vischioso. Perfino le piante degli stili più fragili e delicati erano cresciuti fino a raggiungere, se non superare, l’altezza delle nostre teste. Quando ci fermammo a guardarlo attraverso l’intrico, vedemmo a poca distanza alcuni alberi piegare le fronde come mazzi di fiori recisi. E qualcosa intanto avanzava, dalla direzione delle nuvole buie come la notte. Era la pioggia vera, che ci raggiungeva dopo gli spruzzi iniziali, ma che dava l’impressione di essere tanto di più che non semplice pioggia. Era come se una vasta porzione di cielo si fosse staccata e stesse franando terra, fragorosa e decisa, assumendo una forma animata non del tutto riconoscibile. Cortine d’acqua – non veli, ma vere e proprie cortine fitte e battenti in modo selvaggio – ne costituivano l’avanguardia. Le vedevamo distintamente, quando tutto ciò che sentivamo per ora erano solo pigre gocce isolate. Era quasi come se stessimo guardando dai vetri di una finestra, e non potessimo credere che prima poi la finestra sarebbe andata in frantumi e pioggia vento ci avrebbe investiti, d’un colpo; mi sentii rizzare capelli ventaglio intorno alla testa. Ebbi la sensazione che potesse succedere lo stesso anche alla mia pelle.
Passata l’ondata di pioggia, resta lo stato di meraviglia. E i due protagonisti vivranno un attimo che non dimenticheranno più.
Il nome del bravo traduttore/traduttrice?
Susanna Basso 🙂
Luisa
Intanto ringrazio del blog che ho scoperto soltanto qualche giorno fa e che trovo un vero e proprio spazio-laboratorio!
Anch’io amo ricopiare dai libri i brani che mi colpiscono di più —ho l’impressione che così facendo quelle “seminazioni dello spirito” che sono le parole possano produrre una migliore coltura dentro di me e articolarsi in nuove sconosciute costellazioni di pensieri. E’ una pratica che coltivo da tutta la mia vita di lettrice, così che nella mia libreria quasi ogni libro ha almeno un quaderno dedicato…… Attualmente sono alle prese con La Montagna Incantata di Thomas Mann.
Copiare è un piacere che serve anche per imparare; purtroppo per noi occidentali la parola “copia” assume spesso un significato negativo 🙁
Per me è stato importante, qualche anno fa, apprendere che nella cultura orientale l’imitazione e la copia sono delle vere abilità artistiche, un elogio all’opera originaria ma anche un modo per capirla davvero e provare a superarla.
ps: l’articolo di Piperno è confortante, più che una copia merita ampia condivisione 😀
Quando ho letto l’articolo di Alessandro Piperno, l’altro giorno, mi sono emozionata e ritrovata confortata nel desiderio folle che avevo da giovanissima studentessa: fare l’amanuense, quindi ricopiare, quindi conoscere il testo a partire da un atto ripetuto, costante eppure originale. E così facendo rendergli grazie.
… Poi uno cresce, studia e vuole creare:-)
ciao
Alessia
Grazie a tutte della condivisione dei reciproci commenti sull’articolo offerto da Luisa. Per me, rimane l’eco delle vostre parole come espressione di questo amore appassionato per la più intima comprensione del testo, dal suo interno. Molto bello.
[…] Copiare: un piacere consentito […]