Di solito segnalo ma non riproduco per intero i post altrui e per la lettura rimando sempre alla fonte. Faccio un’eccezione per l’ultimo di Nuovo e utile, Scrittura, rilettura e cucina dei carciofi.
Non aggiungo nemmeno una parola a quanto scritto in maniera così efficace da Annamaria Testa:
Capita spesso che ragazze e ragazzi mi facciano vedere i loro scritti. Perfino a quelli che vogliono fare pubblicità chiedo di mostrarmi almeno un testo lungo: da un titolo pubblicitario, per quanto brillante sia, è impossibile capire se uno maneggia le parole decentemente, e con grazia.
Così, in novantacinque casi su cento, dopo poco mi ritrovo a fare la medesima domanda: santa polenta, ma hai riletto quel che hai scritto?
Le risposte vanno da no, perché andavo di fretta (argh) a sì, certo (ehm).
… e quante volte hanno riletto, ‘ste anime sante? Una volta. Una. Una sola.
Beh, si scrive e poi si rilegge scorrendo le righe e morta lì, no?
Spiego che si rileggono una volta gli sms. Le mail, se sono non brevissime, qualche volta in corso di scrittura e poi alla fine, prima di cliccare send. Ma un testo per il pubblico va riletto mooolte volte. E, a ogni rilettura, qualcosa va aggiustato. Spesso, quando si modifica una frase, anche la punteggiatura va cambiata di conseguenza.
Il testo apparirà tanto più necessario e naturale quanto più sarà stato, con un paziente e invisibile lavoro di affinamento, reso adatto a dire esattamente quel che vuol dire. Né di più né di meno.
Mi guardano con gli occhioni spalancati, ‘sti pivelli.
Allora parte il teatrino. Prendo la penna e, mentre quelli fanno spallucce, comincio a segnare gli errori di ortografia: accenti, apostrofi. E orrendezze anche peggiori.
… poi segno le frasi storte, o perché i tempi verbali non concordano, o perché non concordano verbi e soggetti, collocati alle opposte periferie di periodi caotici. Oppure perché o il verbo o il soggetto è definitivamente missing. Poi segno gli anacoluti, che sembrano disinvolti ma sono solo bruttarelli: per esempio l’orologio, Pippo lo aveva rotto…
Segno le parole ripetute senza intenzione o necessità e a breve distanza (es: fino ad ora Pippo era in ritardo di mezz’ora). Già che ci sono, dove posso tolgo le d eufoniche. Segno i salti ingiustificati dal passato al presente o viceversa e, se sono ripetuti e ammucchiati in poche righe, gli andirivieni tra “noi”, “tu”, forme impersonali.
Segno le frasi di cui il testo può fare a meno senza perdere un milligrammo di senso. Intanto ho guardato la punteggiatura: di solito trovo virgole sparse dove capita, come petali di rosa sul percorso della processione. O come fiati presi a caso da un attore maldestro.
Ah: comincio a segnare anche le parole fuori tono. Per esempio quelle troppo colloquiali in un testo tutto in punta di penna, o viceversa.
E segno le formule goffe o antiquate: ci sono ventenni che usano egli, al fine di, allorquando e altri muffosi avanzi del tempo che fu.
Poi vado a vedere se la scrittura ha ritmo. E se ci sono dei cortocircuiti di senso.
Uno degli esempi più divertenti mi è capitato di recente. È l’incipit di un testo di intenzione peraltro non disprezzabile:
Il braccio chiede consiglio alla mente e intanto è sulla porta del cuore ad origliare ogni suo sospiro.
Dico all’autore: e ora, anima santa, visualizza quel che hai scritto.
C’è un braccio (tranciato?) che chiede consiglio alla mente (come fa? Parla? Pensa? È telepatico?) e intanto (sempre lui, il braccio multitasking) è sulla porta del cuore (urca!) ad origliare (il braccio ha orecchie?) ogni suo sospiro (e come fa a sospirare, il cuore? Ha una bocca? E i polmoni, in questo campionario anatomico, che fanno? Battono?).
Spero di avervi dato un’idea di quel che si può trovare se ci si prende la briga di passare un testo al setaccio fine. E sì, certo, le metafore vanno bene, eccome: ma solo se non collassano l’una sull’altra in una poltiglia di incongruenze.
Naturalmente tutto questo lavoro di rilettura parte dal presupposto che il testo racconti qualcosa che val la pena di leggere, se no è meglio risparmiarsi anche la fatica di scrivere e dedicarsi a qualche hobby più divertente.
Ma se uno decide di scrivere, non c’è verso. Deve anche rileggere, se ha un minimo di rispetto per il proprio pensiero. E quando dico “rileggere” intendo: con attenzione, e più di una volta. Quante volte? Tante: cinque, dieci, anche venti se il testo è lungo o complesso.
In sostanza, lavorare su un testo è come cucinare carciofi. PRIMA si puliscono e si tirano via le foglie dure e guaste. POI si taglia la punta: via tutte le spine. POI si dividono a metà, o in quarti, eliminando anche quelle barbette interne fetenti e traditrici che, se finiscono in bocca, allappano. POI bisogna lavarli bene bene.
Solo se è stata tirata via la roba sbagliata, brutta, inutile ci si può divertire coi profumi e i sapori. E si può mettere in pentola aggiungendo tutto quel che serve.
Mi diceva però l’ortolano che adesso la gente non vuol più rompersi l’anima, perdere tempo e pungersi per pulire i carciofi: molti preferiscono quelli già pronti, sfogliati, privati del gambo, decapitati. Anche se fanno tristezza, rinsecchiti e nerastri come sono.
Ma chi scrive deve rassegnarsi. E pulire bene i suoi carciofi.
Ho appena spedito questo post ai partecipanti di un laboratorio di scrittura che ho tenuto in un’azienda la scorsa settimana e con i quali non ho fatto altro che pulire e cucinare carciofi. E ho appena eliminato dalla frase precedente un anacoluto che mi era scappato. Era disinvolto, ma bruttarello.
Grazie per questa segnalazione. Davvero un articolo interessantissimo. Credo che sia valido anche per i traduttori, che spesso si dimenticano di rileggere il proprio lavoro prima di spedirlo al revisore o – peggio – al cliente. L’ho segnalato anche ai colleghi con i quali sto frequentando un corso sulla revisione. Quanto a me, l’ho stampato e lo appenderò vicino alla scrivania.
A me quella cosa del triangolo amoroso tra il braccio, la mente ed il cuore piaceva.
Poi, ovviamente, è sempre una questione di contesto.
Grazie. Lo copio e me lo rileggerò più e più volte, ad uso puramente personale.
Il problema di oggi è che nessuno ha tempo, nemmeno per i propri hobbies. E poi la mediocrità dilaga ovunque e ormai sembra normale tollerare errori anche gravi di ortografia, così nessuno ci fa più caso…
ehehehehe…divertente quanto vero! Repetita iuvant, grazie.
“Non aggiungo nemmeno una parola a quanto scritto […]”.
Io ne toglierei due: “‘sti pivelli”.
Condivido lo spirito.
mara scrive:Sono stata tempo fe0 in vitsia da mio figlio in un paesino francese sul confine svizzero. In un grande centro commerciale del tutto anonimo come i nostri Al reparto libri e riviste ho notato tanti ragazzini seduti che sfogliavano libri e fumetti. In un supermercato pif9 piccolo, stessa scena.Mi e8 poi stato detto che qui e8 naturale lasciare i piccoli e anche i grandicelli sfogliare liberamente i libri per educarli alla lettura. Mi sono ricordata di quando bambina sempre in Francia (40 anni orsono) erano proprio i bambini ad allestire e gestire piccole biblioteche per il prestito gratuito dei libri .Il progetto di Alberto mi sembra un ottima cosa da pubblicizzare anche da noi FORZA IO CI STO.
Quanto è vera e necessaria questa disciplina delle rilettura! E quanto è difficile far capire l’importanza di questa attività… non c’è verso!
[…] dai fornelli di Annamaria Testa ed è stato apprezzato e condiviso anche da Luisa Carrada, nel blog del mestiere di scrivere. Leggiamo e reblogghiamo gli insegnamenti di chi serve le parole su un piatto d’argento. E […]