“Frenate l’entusiasmo, gente!” titola l’ultimo post della rubrica del Guardian Mind the language.
L’editor Gary Nunn coglie la tendenza sempre più diffusa a ricorrere a iperboli (“immensamente superiore a qualsiasi cosa abbia mai visto”).
Nata sulla strada (“dove per strada intendo il colloquiale spirito del tempo: tweet, facebook update, hashtag, conversazioni tra gente più che adulta”), la tendenza dilaga negli ambienti di lavoro e nelle redazioni giornalistiche, anche quando ci si riferisce ad avvenimenti normalissimi. Deve essere vero, perché Massimo Mantellini lo notava in un suo post di questi giorni: Trasformazioni epocali.
Le iperboli vanno riservate – ci ricorda Nunn – al “best of the best”. Invece mille cose diventano incredibili, grandiose, fantastiche (i nostri corrispettivi dell’ormai onniprensente awesome in inglese).
Il pericolo è impoverire il linguaggio e “trovarci in bancarotta di aggettivi e avverbi adatti quando l’occasione è davvero speciale. Prima di spararla grossa, è meglio cercare alternative che possano esprimere lo stesso fattore Wow! Quello sarebbe davvero grandioso. O in realtà, solo corretto.”
Ma la vera scorciatoia verso l’esagerazione è il punto esclamativo. Ne parla il Boston Globe: The overuse of exclamation points!
La bangorrea affligge tutti, anche chi come me è abituato a sorvegliare molto la propria scrittura. Mi innervosisco quando mi arrivano le newsletter con “offerta imperdibile!”, “richiedi la fidelity card!”, “in esclusiva per te!”, “scopri l’offerta che ti abbiamo riservato!”, ma poi non riesco a non scrivere “grazie!” quando concludo un’email. È come se mi spegnessi il sorriso da sola.
Una vera … catastrofe!
Suvvia, non essere così severa con te stessa. Il punto esclamativo finale è conseguenza del fatto che il linguaggio delle mail ci appare sempre più freddo e distaccato di quanto volesse l’autore (persino se gli autori siamo noi). A parte questo, le iperboli messe a casaccio sono fastidiose, oltre che inutili, visto che ormai siamo tutti assuefatti alle “offerte imperdibili!” e ai “Laura, c’è un regalo per te!”
Come sempre vai dritto al cuore del discorso. Sono d’accordo sulla tua breve analisi dell’uso del punto esclamativo, che mi suscita ormai diffidenza, anche se almeno nelle comunicazioni semi-informali lo uso! 🙂
Mi è sfuggito l’anonimato, ma mi trovi qua: http://www.girandolaprecaria.blogspot.com
Mi è scappato il commento anonimo, mi trovi su: http://www.girandolaprecaria.blogspot.com
Sei una GRANDE!!! Hai il sito on line dal ’99. E probabilmente è l’anno che ho scoperto il tuo sito.
Quando mi manca l’ispirazione faccio un giro sul tuo sito e ecco, il gioco è fatto.
Sei stata ispiratrice ed elemento di grandi riflessioni. Prima per hobby, poi di necessità mi son fatto virtù. Ho scoperto però da poco il tuo Blog, e non chiedermi perchè.
Dopo tanti anni, ho l’occasione di ringraziarti.
Colgo questo tuo post per segnalarti uno mio proprio sull’oggetto delle email.
http://www.alessandrozucchelli.com/?p=120
A. Z.
una vignetta del New Yorker che sembra fatta apposta:
http://www.newyorker.com/humor/issuecartoons/2012/05/14/cartoons_20120507#slide=8
Valeria
Ci sono fenomeni simili anche in altri momenti, penso soprattutto alla televisione di oggi. In certi show, è stato introdotto con troppa liberalità il rito della standing ovation, che altro non è che un’iperbole di un linguaggio diverso.
Purtroppo il tratto che accomuna i due fenomeni è deprimente: non essendoci davvero qualcosa di grande in sostanza, la sua rappresentazione, il suo racconto sarà iperbolico ugualmente, per confondere e far credere che ciò a cui si sta assistendo, sia davvero grande.
con l’unico risultato di togliere valore a quelle poche volte in cui in effetti ci sarebbe bisogno dell’iperbole, per la vera meraviglia, per la spontanea standing ovation.
Oggi come oggi sempre più le persone rivolgono l’attenzione a come viene loro proposto un evento, al suo racconto. Non all’evento in sé: giudicarlo davvero richiede uno sforzo troppo alto. Non per essere apocalittico (un’iperbole che ha un significato ben preciso da 48 anni), ma anche questo è un segno di imbarbarimento (iperbole che ha circa sei anni…)
“anche chi come me è abituato”
Non c’e’ nulla da fare: tutto deve essere maschile. Anche il lettore.
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