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risali negli anni

24 Aprile 2012

Leggere saggi, whatever the medium

Il saggio, vittima dell’iPad: il titolo dell’articolo di Roberto Casati sull’ultima Domenica del Sole 24 Ore è un po’ iperbolico, ma l’autore è seriamente preoccupato per il destino dei saggi e della qualità della loro scrittura, perché così conclude.

Il punto chiave del mio argomento è dunque che l’ecosistema è veramente nuovo: non si tratta di una semplice digitalizzazione di situazioni preesistenti. L’ebook comincia a far breccia e a sostituire il libro cartaceo perché esiste un nuovo contesto, in cui però l’ebook non è la primadonna ma una comparsa tra le tante, e in cui l’attenzione viene continuamente sollecitata da tutte le altre comparse. Questo contesto non è favorevole alla lettura dei saggi, e finirà per non essere favorevole alla loro scrittura.

La previsione mi sembra un po’ fosca e non credo di essere tanto d’accordo, ma sono d’accordo che cambia l’ecosistema, Lo sperimento da lettrice, e ieri ho passato un pomeriggio molto “sperimentale”.

Quando ho letto che Findings aveva aggiunto un’intervista a Maria Popova alla sua serie sul futuro della lettura, mi ci sono buttata a capofitto. La regina della content curation mi piace moltissimo: questa giovanissima bulgara trapiantata negli USA mi sembri incarni il bello del vecchio e del nuovo mondo, il prima e dopo la “parentesi Gutenberg”. Legge libri ponderosissimi, ha la pazienza e il fiuto di un topo di biblioteca, ma sa restituire le sue letture con la creatività combinatoria e la leggerezza della rete in post chilometrici sul suo blog Brain Pickings.

Della sua intervista condivido tutto, pure le virgole, ma soprattutto quando dà la sua definizione del libro – che si guarda bene dal definire “di carta” – e della lettura:

Dei libri è importante preservare un’unica caratteristica: “Sono punti di vista confezionati.”

Una rosa è una rosa è una rosa. La lettura è la lettura, qualsiasi sia il medium.

Non perdetelo. Federico Badaloni ne ha tradotti ampi stralci sul suo blog Snodi.
Comunque, alla fine Maria Popova cita Jonah Lehrer, divulgatore scientifico che ama moltissimo e che ha appena pubblicato il suo terzo libro, Imagine, dedicato alla creatività.
Tra cliccare, andare su Amazon e scaricarlo non è passato più di un minuto e subito ero catturata dalla storia dell’invenzione di un oggetto quotidiano, lo Swiffer. Imagine parte così, dalla pulizia dei pavimenti. E prosegue con un giovanissimo Bob Dylan in piena crisi creativa.

Ho passato sul libro l’intero pomeriggio, nonostante il lavoro incombesse. Ma mi sentivo ampiamente giustificata: Lehrer spiega benissimo come e perché tra gli ingredienti indispensabili per far maturare le idee e creare qualcosa di nuovo ci siano anche la rilassatezza, il far nulla, il sogno ad occhi aperti, il pensare ad altro. O il fare una doccia calda. Sì, l’effetto creativo della doccia calda ha solidissime basi scientifiche!

Lo spiega portandoci nei meandri del cervello, nei laboratori dove i neurofisiologi pongono alla gente strani quesiti e osservano cosa succede nella loro testa, in aziende tradizionalissime eppure straordinariamente creative. Ma soprattutto ci porta nella mente e nei testi degli scrittori e ci fa scoprire perché Bob Dylan per scrivere le sue canzoni più belle dovette arrivare al punto di abbandonare tutto, e perché invece W.H. Auden avesse bisogno di impasticcarsi in continuazione per rifinire i suoi versi. Ma ci sono anche T.S. Eliot, Jack Kerouac, Virginia Woolf.

Il bello di questo bellissimo libro è che la scrittura è presa come paradigma di ogni processo creativo.

Il bisogno costante di insight ha forgiato il processo creativo. Questi radicali momenti di scoperta sono talmente preziosi che ci siamo inventati rituali e tradizioni per incrementare le possibilità di un’epifania, porci in ascolto delle associazioni remote che arrivano dall’emisfero destro. Guardate ai poeti, che così spesso contano su forme letterarie con vincoli strettissimi, come gli haiku e i sonetti. A prima vista, questi metodi sembrano non avere senso, perché l’atto creativo diventa molto più difficile. Invece di comporre liberamente, i poeti si frustrano da soli con vincoli strutturali.
Ma il punto è esattamente questo. Se la forma non è una sfida per i poeti, se non sono obbligati a guardare oltre le associazioni più ovvie, non scriveranno mai un verso originale. Rimarrebbero incollati a cliché e convenzioni, con aggettivi prevedibili e verbi noiosi. Ecco perché le forme poetiche e la metrica sono così importanti. Quando un poeta deve trovare una rima con una parola di sole tre sillabe o un aggettivo che si incastri nello schema giambico, finisce per scoprire ogni sorta di connessioni inattese; la difficoltà del compito accelera il processo di insight.

Sono solo a un quarto di Imagine e pregusto quello che deve ancora arrivare. Un saggio tradizionale, di 300 pagine, che sto leggendo sull’iPad. Ma mi tiene incollata, senza nessuna tentazione di sbirciare su Twitter o di controllare la posta.
Non credo che i saggi corrano pericoli e debbano temere la concorrenza di altre primedonne se ci offrono visioni originali, una scrittura vivida e tersa, un deciso punto di vista. “Whatever the medium” come dice Maria Popova.

0 risposte a “Leggere saggi, whatever the medium”

  1. I saggi si estingueranno se si estingueranno i lettori intelligenti, non quando finirà la carta.
    Il saggio è il modo per confrontarsi in maniera approfondita con qualcuno che ha cose intelligenti e documentate da dire su qualcosa che ci interessa e che è stato confezionato in maniera compiuta e curata.
    Non è forse un saggio anche questo blog pre e-book e pre iPad?

  2. Il Sole24ore non è nuovo a questi articoli “provocatori”. Seguo il supplemento culturale da anni e mi ritrovo sempre arricchito. A volte però alcune prese di posizione le trovo bizzarre, oltre a non condividerle. L’E-book non sta uccidendo nessun libro e anzi favorisce la lettura, così come l’I-pad. Senza distinzione di genere.Che poi l”ecosistema” cambi con le nuove tecnologie è fin troppo ovvio. Andrebbe argomentato. Insomma un po’ di aria fritta. Però siamo qui a scriverne, è questo oltre che bello è positivo.

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