Sabato e domenica ero a insegnare al masterCom dell’Università di San Marino e dell’Università IUAV di Venezia. Da qualche anno il modulo dedicato alla scrittura è aperto dalla master lecture di Annamaria Testa.
Confrontarsi con una scrittrice ed esperta di comunicazione come lei è una splendida opportunità per gli studenti, ma pure per me. Infatti non me la perdo mai e ogni volta prendo un sacco di appunti che vanno a concimare testi, progetti, idee sparse.
Quest’anno le riflessioni di Annamaria hanno riguardato soprattutto il processo della scrittura. Le sue parole hanno risuonato forte dentro di me questa mattina, passata a rivedere testi cui ho lavorato per mesi, che conosco a memoria e che tra poco dovrò lasciare perché prendano la loro strada e — mi auguro — incontrino i loro lettori.
Si scrive da soli, ma in un certo senso anche in compagnia. Ci sono due se stessi quando si scrive.
Uno si immerge totalmente nell’argomento, “diventa” l’argomento, condizione indispensabile per trovare respiro, ritmo, passione. Come cuocere nella stessa pentola insieme alle parole.
L’altro è fuori, e deve osservare tutto come il più severo dei critici.
L’uno si innamora di quanto scrive ed esclama: “Che bello!”
L’altro è distaccato e chiede: “Che cavolo hai scritto?”
Quest’ultimo, però, è bene che rimanga per un po’ fuori dalla porta e lasci che l’autore innamorato butti giù almeno una prima bozza. Se entra subito in azione con la sua severità, non scriveremo mai nulla.
Ma c’è anche qualcun altro con noi. La persona o l’organizzazione cui prestiamo la penna e la voce: il capo, l’amministratore delegato, il cliente. Dobbiamo metterci addosso la sua casacca, parlare come lei o lui, usare strumenti, tecniche e talento — i nostri — per far esprimere e valorizzare qualcun altro.
In questa officina affollata dobbiamo infine portarci dietro qualcuno del nostro pubblico. Un lettore, un cliente. Dobbiamo vederlo, immaginare che cosa si aspetta da noi. “Sentirne il fiato”, come ha detto Annamaria.
Tutta questa folla m’hai ricordato Pessoa e il saggio di Tabucchi “Una valigia piena di gente” 🙂
Una gran bella raffigurazione della scrittura.
bellissimo modo di attivare le idee! mi fa pensare a un discorso che non si può fare velocemente…. ma quanto tempo ci si mette a scrivere, ad esempio, un sito web?
Il titolo del post mi ha ricordato un verso di Mario Benedetti, poeta uruguayano: “tengo una soledad tan concurrida”, cioè “ho una solitudine così affollata”.
Bellissima questa immagine, tra i mei personaggi manca il “cliente” ma la parte per me più difficile da impersonare resta sempre quella del pubblico, del lettore…
Scrivere di scrittura in modo così brioso e immediato non è da molti.
[…] della corsa Questione di ritmi Scrivere in affollata solitudine Non insistere, cambia strada e soprattutto corri C’è un tempo per ogni testo A tappe, o […]