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risali negli anni

13 Aprile 2012

Dai testi lunghi a quelli brevi, e ritorno

Mi rendo conto — e un po’ me ne dispiace — che i post in cui segnalo letture lunghe e magari in inglese non sono così popolari come quelli in cui propongo o traduco cose più semplici come i consigli veloci alla rinfusa o la formula “sintassi più semplice, lessico più ricco”. Però è spesso dalle letture più lunghe e profonde che si estraggono i consigli, le immagini, le metafore migliori.
Tra queste letture ci sono gli articoli di Draft, la nuova rubrica di Constance Hale sul New York Times. Pochi post fa ho segnalato il primo, dedicato alle frasi. Ora prosegue con le parole e la metafora della barca:

Il soggetto della frase è lo scafo della barca, il verbo la vela o il motore, ciò che la fa muovere e la spinge lontano. Il materiale per costruirla sono le parole, e devono essere chiare, robuste, flssibili. È la scelta delle parole a rendere bella e funzionale la barca.

La triade chiare, robuste, flessibili mi sembra perfetta. Mi ricorda la dimensione artigianale della scrittura, l’abilità di piegare le parole come i vimini di un cestino o di intrecciarle a formare un disegno.
Parlando non abbiamo tanto tempo per pensare e per questo ricorriamo spesso a parole generiche. Ma la differenza tra scritto e parlato sta anche nel maggior tempo a disposizione, nello spazio della riflessione. Per dire più cose con meno parole, le parole devono essere precise, non generiche. Concrete, non astratte. Vivide, non scialbe. Per Calvino l’esattezza era uno dei sei valori della scrittura del nuovo millennio:

La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso.

Se leggiamo “imbarcazione” — ci esemplifica Constance Hale — non vediamo nulla. Ma se leggiamo “canoa”, “vascello”, “corvetta”, “zattera”, la nostra mente si popola di immagini, ci porta direttamente sull’acqua:

La funzione primaria dei nomi è dipingere ai nostri occhi un quadro chiaro e una sequela di astrazioni non serve.

Cerchiamo la parola precisa, aggiungo io, e ci serviranno tanti meno logori aggettivi. Una conquista, nella scrittura professionale.
La ricerca delle parole concrete e precise ci riguarda da vicino, soprattutto in pieno trionfo di scritture autonome e frammentate. Favoriscono la concisione. Fanno da link tra un’unità testuale e un’altra. E sono soprattutto loro a dare ai nostri post, tweet, titoli e sottotitoli il nitore e il taglio di un cristallo.

Già che ci siamo, visto che il weekend è alle porte e il tempo c’è, vi consiglio un’altra serie di letture belle lunghe, ma imperdibili per chi vuole scrivere e comunicare bene in questo mondo che vede il ruolo del testo cambiare sotto i nostri occhi: la serie How we will read. L’ultimo intervento è quello di Clay Shirky, che così esordisce:

Publishing is not evolving. Publishing is going away. Because the word “publishing” means a cadre of professionals who are taking on the incredible difficulty and complexity and expense of making something public. That’s not a job anymore. That’s a button. There’s a button that says “publish,” and when you press it, it’s done.

Questo sposta l’attenzione su tutto quel che c’è da fare prima di premere quel bottone. Meglio così.

0 risposte a “Dai testi lunghi a quelli brevi, e ritorno”

  1. Il rovescio della medaglia di un lessico ricco è trovarsi a confronto con persone che oltre a “Dire, fare, baciare, lettera e testamento” non sono in grado di andare.
    Già “imbarcazione” può creare problemi a chi deve comprenderne il significato astraendolo da “barca”, già visualizzo il lettore che si trova davanti a “corvetta”.

    “Corvetta? Cosa ci puffano ora gli uccelli? Non stavamo puffando di gente che puffava in mare?”

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