Negli ultimi mesi di vita Antonio Tabucchi scambiò molte email con lo scrittore Paolo Di Paolo. L’inserto Domenica di Repubblica del 1 aprile ne pubblica alcune, tra cui questa:
Essere scrittore non vuol dire solo maneggiare le parole. Significa soprattutto stare attenti alla realtà circostante, alle persone, agli altri. Ho l’impressione che se c’è una disattenzione da parte tua è perché stai facendo troppe cose e hai troppi fronti aperti. Questo rende frettolosi, e nuoce alla scrittura. Una volta alla settimana chiuditi in camera tua, stacca il telefono e mettiti a fissare il muro per un pomeriggio. Senza fare nient’altro che fissare il muro. È un’ottima scuola di scrittura. Io lo faccio ancora oggi, alla mia età. Svuotati la testa; metti un disco di Schubert, apri a caso i Dubliners e vedrai che ti dimentichi di quello che sulla pagina culturale del CorriereTizio ha scritto di Caio e cosa ha replicato Caio su Io donna.
Magnifico, come tutto ciò che ci ha lasciato Tabucchi. Il consiglio di fermarsi e svuotarsi per riuscire a riempire la nostra testa di nuovi materiali mi sembra più che appropriato. Non dovremmo dimenticarcene mai nemmeno noi che viviamo sempre con un dispositivo di qualche genere incollato a mano/orecchio/occhio. Staccare, staccarsi, divagare, svagarsi sono gli unici antidoti alla mancanza di senso. Se non lo facciamo corriamo seri rischi, “perché la vita, a poco a poco si riempie e intumidisce senza che tu te ne accorga, ma quel gonfiore è un di troppo, come una ciste o un caos, ed a un certo punto quell’insieme di cose, di oggetti, di ricordi, di rumori, do sogni o intersogni non ti dice più niente, è solo un rumore indistinto, un groppo, un singhiozzo che non sale e non scende, e strozza”. (Tabucchi, “Si sta facendo sempre più tardi”)
Commovente