Per chi si interessa di scrittura, per chi insegna o ha i figli a scuola il post di stamattina di Annamaria Testa su Nuovo e utile è veramente da non perdere: Parole: strumenti per costruire, armi per combattere, ali per volare.
Annamaria prende le mosse dai dati un po’ disperanti sulle incompetenze linguistiche dei ragazzi emerse da uno studio INVALSI sugli elaborati di italiano alla maturità 2010. Da persona positiva qual è ci esorta però a trovare il modo per spiegare ai ragazzi quanto possono cambiare il loro destino e quello del mondo in cui vivono se solo imparassero a usare bene “il tesoro di due milioni di anni di civilizzazione… le parole sono strumenti per costruire, armi per difendersi, ali per volare, bussole per orizzontarsi, talismani per cambiare, passaporti e credenziali per essere accolti.” E conclude con la segnalazione di tre bellissimi video dedicati alla forza delle parole.
Sulla traccia del post mi sono letta alcune pagine dello studio INVALSI. Mi sono soffermata soprattutto sulla sezione scritta da Annapaola Capobasso dal titolo Il testo? Un disegno dimenticato. Le nove pagine (95-64) sono dedicate alla “testualità assente” in un mondo che vede il trionfo del testo-collage, quello che giustappone le frasi una dietro l’altra, senza una struttura interna a sostenere l’argomentazione, tutto trama e niente ordito, e quindi senza “disegno”, come invece vorrebbe l’etimologia della parola “testo”, tessuto:
Testo inteso come linea, che parte in un punto e in un punto si chiude, avvolgendosi su sé stessa e formando una figura chiara, idealmente un cerchio; un cerchio, però, dove solo apparentemente si torna al punto iniziale: si parte dai dati, ci si pone un quesito, indirizzandosi verso una meta (il punto di chiusura del cerchio stesso), si posizionano i punti del tracciato. Una linea, quella testuale, che inerisce a coordinate spaziali e temporali e che, se tracciata con decisione, pone sotto gli occhi del destinatario una figura tridimensionale, un problema risolto (oppure volutamente irrisolto) e limpido. Una linea in superficie, ma una figura tridimensionale in profondità.
Mi è piaciuta moltissimo questa immagine, essa stessa così limpida. Però non darei tutta la colpa alle “videoscritture”.
L’insegnamento della testualità è sempre stato carentissimo, anche quando andavo a scuola io. Tra la macrostruttura, cioè l’architettura, e le microstrutture del testo (pronomi, connettivi, coesivi, lessico) l’attenzione era tutta per queste ultime, come se le correzioni fossero fatte con la lente di ingrandimento perdendo di vista il quadro di insieme. Il problema mi si pose seriamente solo in fase di tesi di laurea, quando mi trovai a dover sostenere un’attribuzione a un artista. Allora non avevo idea di cosa fosse la “scrittura argomentativa” e me la cavai soprattutto con il buon senso.
La verità è che per imparare a far emergere il disegno ti devi confrontare anche con testi belli lunghi, ingrediente indispensabile di ogni buona dieta mediatica.
Per fortuna, la professoressa Capobasso — come Annamaria Testa — è un’ottimista e nel suo intervento offre ai docenti anche un buon numero di suggerimenti per insegnare ai propri allievi come irrobustire i testi. Ottimi anche per noi che non andiamo più a scuola da tanto tempo ma scriviamo tutti i giorni su tanti media e con gli obiettivi comunicativi più diversi.
Ciao Luisa. E grazie per aver ripreso l’argomento. Intanto segnalo, uscito oggi su la Repubblica: http://www.repubblica.it/scuola/2012/03/30/news/l_innovazione_sale_in_cattedra_cos_la_creativit_batte_la_crisi-32436745/
Ciao Luisa, sono d’accordo con te: l’incapacità di strutturare un testo ha radici lontane e responsabilità ben definite. Al liceo l’unico sistema che mi hanno insegnato per comporre un tema era fare prima la “brutta” e poi sistemare tutto riscrivendo in “bella”: così prima si scriveva di getto senza seguire uno schema e poi si delegava la revisione per sistemare in un colpo solo struttura, sintassi e ortografia.
Io, soprattutto per pigrizia, rompevo sempre questo schema: perdevo un terzo del tempo a fare schemi, frecce e richiami, e le due ore rimanenti a scrivere direttamente in bella copia. Risultato, mi sarebbe servita un’altra ora per fare una revisione decente, ma in generale me la cavavo degnamente. Poi anch’io quando ho scritto la mia tesi ho dovuto imparare a strutturare un testo lungo: è stato allora che ho trovato un bel sito pieno di utili consigli (più o meno appresi) che mi pare si chiamasse “il Mestiere di Scrivere” 🙂 .
Grazie, continua così.
Ho imparato a comporre un testo argomentativo a 26 anni, frequentando un corso d’inglese di 30 ore preparatorio a un esame. Ricordo mi chiesi a cosa fossero serviti anni di liceo e scuole medie a fare temi temi e temi di cui nessuno mi insegnò mai il senso. Ciao Luisa, grazie per tutti gli spunti interessanti che proponi.
Si parla sempre su esperienze personali e in base a ciò che si vede intorno a sé. Non solo i ragazzi soffrono questa carenza d’italiano! Recentemente mi è capitato di trovarmi presso una nota agenzia di stampa e mi hanno dato un catalogo pieno zeppo di orrori o errori di punteggiatura. Ormai si ha perfino paura di correggere un errore grammaticale: si passa per “antipatici”.
Per me la scrittura è stata sempre un rifugio. Utile almeno quanto la parola. Ma la scrittura richiede silenzio. Sarà che oggi si ama parlare troppo e non c’è più il “valore” del silenzio di tempi in cui si pregava o si coltivava la terra.
La dottoressa Luisa Carrada è stata mia insegnante in un master di scrittura creativa.
La cosa sconfortante è che chi ha finito il liceo, l’università e perfino il master non ha assolutamente più prospettive di chi fa errori grammaticali a trent’anni. Ne ha di meno. Questo è il paradosso dell’Italia.