“Scrivere non basta più”: è la prima frase del testo di presentazione del workshop di Francesco Franchi al Festival del Giornalismo di Perugia (chi può, si iscriva e ci vada!). Sottoscrivo in pieno la frase lapidaria del trentenne information designer, direttore creativo di IL – Intelligence in Lifestyle del Sole 24 Ore. Nelle sue infografiche e le sue pagine i dati diventano immagini, ma spesso lo diventano anche i testi:
“Cosa fare quando le parole non funzionano” è il sottotitolo del libro Blah Blah Blah di Dan Roam. E lui risponde: disegnare per pensare in modo “vivido” in spazi dove parole e immagini re-imparano a convivere.
Megan Garber, giornalista e studiosa dei media digitali, dedica uno dei suoi ultimi articoli sull’Atlantic al nuovo spazio che le immagini si stanno ritagliando nel mondo digitale (tradotto in italiano da Internazionale nel numero 940 di due settimane fa):
E questa tendenza si ritrova ovunque su internet, un mondo nato dal testo (il primo html, i primi blog, le prime email), ma che si è rapidamente adattato per poter accogliere le immagini e i video. Come oggetto estetico, la rete di oggi è una sofisticata dialettica tra testo e immagine. Online il testo convive con illustrazioni, pulsanti di condivisione, loghi e video incorporati, e in quest’allegra cacofonia ogni elemento interagisce in modo luido con gli altri, tanto da farci dimenticare che testo e immagine sono mezzi diversi.
I social network si distinguono proprio a seconda del rapporto che stabiliscono tra testo e immagine: pensiamo a Twitter (molto testo e poche immagini), a Facebook e Google+ (molto testo e molte immagini), a Tumblr (molte immagini e poco testo) e infine, all’altro estremo, a Pinterest (molte immagini e zero testo). Tutto questo è meraviglioso. Nessuno dei due mezzi – testo e immagine – è superiore all’altro. La cosa bella dell’ambiente digitale è che ci risparmia i falsi dilemmi. Rete = parole + immagini. Ovvio, no?
Da un po’ di tempo a questa parte, però, sta succedendo un fatto strano: quasi tutte le novità introdotte dai principali social network valorizzano le immagini a scapito del testo. L’esempio più ovvio è il successo di Pinterest, con la sua esplosione di immagini e puntine quasi completamente priva di testo. Pensiamo anche alla crescita di Flickr, Instagram, Hipstamatic e di tutti gli altri social network fotograici. E poi c’è Facebook, che ha scommesso sull’immagine con Timeline. E Google+, che punta sul servizio di videochat Hangouts. Per non parlare di YouTube e della diffusione virale di Tumblr.
Dopo il suo ultimo redesign persino Twitter – così sobrio, così scritto – ha valorizzato gli avatar degli utenti, oltre alle immagini e ai video allegati, molto più di quanto avesse mai fatto prima.
Tutto questo non riguarda solo i social network. Nel layout dei siti web, influenzati dall’estetica dell’iPad, le immagini acquistano importanza. L’infografica sta proliferando grazie a programmi userfriendly. E queste tendenze sono probabilmente destinate a durare, perché visualizzare immagini complesse su schermi di qualunque dimensione è sempre più facile, come è più facile – e meno costoso – pubblicare foto e video. Da un punto di visto estetico, il web sta prendendo una piega visiva.
E intanto Rizzoli ha pubblicato in edizione italiana Information is Beautiful di David McCandless, data journalist e information designer londinese il cui motto è “Amo le torte. Ma odio i grafici a torta.”
Le immagini soppianteranno le parole? Più probabile che parole e immagini torneranno a convivere, proprio come era prima dell’era Gutenberg. La Garber, per esempio, ama scrivere su testate che ospitano testi lunghissimi, come l’Atlantic:
Al tempo stesso, però, si sviluppano contenuti con lunghi articoli come quelli proposti da Longform, Longreads o da riviste come The Atlantic, che nella sua rubrica online di tecnologia dà spazio a esempi di long-form narrative. E pensiamo a progetti come Atavist, che partono dalla tecnologia testuale per eccellenza – il libro – e la rielaborano creando un prodotto multimediale dinamico. Parole e immagini continueranno a convivere con ottimi risultati. Ma se tra questi due mezzi nasceranno nuove forme di coesistenza e se, ribaltando i meccanismi che definivano l’archiviazione della nostra comunicazione da ben prima di Gutenberg, produrre immagini diventerà più semplice che produrre parole, quali saranno le conseguenze di questo cambiamento sulla rete e, quindi, su di noi?
Lo scopriremo solo scrivendo, ma esplorando tutte le possibilità, dai microcontenuti – titoli, sottotitoli, didascalie – ai testi lunghissimi. Il che è solo una ricchezza.
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Credo nella pacifica convivenza di parole e immagini. Il prevaricare delle seconde sulle prime ha sicuramente un grande impatto, ma toglie spazio all’immaginazione personale e, a volte, delle parole possono essere più evocative di qualsiasi immagine.
[…] Ne condivido in gran parte lo spirito e il taglio, ma soprattutto mi piace osservare come la famosa “piega visiva” del web si stia riverberando su una rivista cartacea che contiene anche articoli molto lunghi e su […]