Stamattina Federico Badaloni, sul suo blog Snodi, prende spunto da un’infografica per una sua riflessione sulla velocità che ci impongono i nuovi media e io prendo spunto dal suo post per un riflessione mia.
Tempo puntifome, quello della comunicazione in rete – scrive Badaloni – in cui ogni attesa è percepita come una perdita di tempo. Al contrario del mondo fisico il tempo lineare, fatto anche di attese. “Attese significanti, perché possono anche esprimere -ad esempio- dubbio, riflessione, emozione oltre che inefficienza o maleducazione.” Emerge un nuovo tema educativo per i nativi digitali: (ri)educare all’attesa.
Mi sa che un po’ di rieducazione farebbe bene a tutti, anche alle persone come me che hanno i piedi in due secoli e in due mondi. Persone cui la rete ha cambiato la vita, ma che nell’infanzia hanno conosciuto la Tv dei ragazzi che cominciava a metà pomeriggio, la scuola che cominciava il primo ottobre, settimane in case di nonne in piccole province che percorrevi in venti minuti da cima a fondo, senza cinema né librerie ma solo la villa comunale.
Eppure, nonostante un’infanzia vissuta in attese e tempi dilatati, ora ti senti aggredita dall’ansia da perdita di tempo, anche quando perderlo ti farebbe un gran bene.
Quando scrivi, soprattutto, il tempo dell’attesa serve. Tempo vuoto, in cui finita preparazione e scaletta butti giù qualche incipit, per poi buttarlo via. Cincischi e guardi lo schermo bianco anche per un paio d’ore prima di prendere l’avvio. Non è affatto tempo perso, perché intanto lo scrittore interiore lavora.
Ora mi sorprendo sempre più spesso a occupare quel tempo prezioso spulciando tra i tweet e i feed. Qualcosa mi dà: spunti, idee, scoperte, letture. Qualcosa mi toglie: il vuoto necessario per le buone idee, le prospettive diverse, le parole più fresche.
Trucchi e applicazioni antidistrazioni non servono. La rieducazione ci vuole! Ha ragione Federico.
Pur non avendoci ragionato in questi termini, mi sono reso conto di questa drastica riduzione dei “tempi morti”.
Qualche giorno fa ho avuto la chiara percezione dell’effetto negativo che il poter divagare usando Twitter stava avendo sulla mia concentrazione e sulla qualità di scrittura. (Parlo di Twitter perché riguarda quel caso specifico, ma il discorso vale per qualsiasi social-coso).
Mala tempora currunt, per chi già è congenitamente pigro e volubile quanto me.
Anche io sono con i piedi in due secoli e in due mondi e concordo con quello che dici. Essere mamma mi ha un po’ riportato i tempi di attesa (necessari d’altra parte) e la pazienza, ma mi rendo conto che il correre sempre più velocemente, il non avere un minuto di ozio è deleterio, per la professione ma anche per la vita quotidiana.