Da un paio di giorni sto leggendo Brandwashed, di Martin Lindstrom. In Italia lo ha appena pubblicato Hoepli, con il titolo Le bugie del marketing. Come le aziende orientano i nostri consumi.
Lindstrom è un guru del marketing danese, cresciuto a Lego e Bang & Olufsen, che ora opera in tutto il mondo come consulente per i più diversi brand, dai profumi alle case reali.
Il libro è appassionante, soprattutto per una come me, che ingenuamente (capisco ora) si ritiene immune dalla forza dei brand. Lindstrom, il cui payoff è Fan of the consumer, con questo libro fa il rebranding di se stesso e si trasforma in paladino del consumatore raccontando il lavaggio del cervello che ci fanno ogni giorno le grandi marche. Si vede che sta escogitando qualcosa di ancora più efficace che ancora non ci dice.
I tricks sono innumerevoli, esposti in modo brillante e con una visione davvero globale. Alcuni sono intuitivi, come la differenza che fanno le goccioline nel packaging di una bevanda o i prezzi scritti col gesso sulle lavagnette nei negozi di alimentazione biologica, altri davvero inquietanti come l’esposizione delle future mamme a particolari musiche nei centri commerciali per orientare i gusti dei bambini, l’aggiunta di sostanze che danno dipendenza negli alimenti, i fake supermarket dove i grandi brand come Unilever, Kraft e Coca Cola espongono i propri prodotti insieme a quelli dei concorrenti e invitano di notte le persone per filmare e analizzare i loro comportamenti e studiare di conseguenza la disposizione negli scaffali. Stamattina, mentre facevo la spesa, dietro il mio carrello provavo una strana sensazione.
Uno dei capitoli più interessanti è dedicato alla leva della nostalgia. Vi ho trovato un passaggio molto interessante per chi scrive, che riguarda il tempo. Un elemento su cui avevo riflettuto tempo fa, perché lo avevo inserito in una brochure. “Sentivo” che ci stava bene, che ci voleva, ma non ero riuscita a mettere bene a fuoco perché. Ora Lindstrom, che col suo neuromarketing scruta nei nostri cervelli per vedere come reagiscono alle parole, alle forme e ai colori, mi dà una chiave:
Val la pena di sottolineare quanto siano persuasive le allusioni al tempo. Sapevate che in una campagna anche solo menzionare il tempo aumenta la nostra propensione all’acquisto? Succede perché appena ci ricordano quanto volatile sia il tempo, subito pensiamo Meglio avere questa cosa prima che sia troppo tardi. E sapevate che quando siamo “stimolati” a pensare al tempo, le possibilità di provare una connessione personale con il prodotto aumentano in modo esponenziale? Per esempio, se un produttore di valigie o un’azienda di caffè annunciano “È il momento di un nuovo set di trolley” oppure “È il momento di un espresso” reagiamo in maniera più positiva.
Perché? Semplicemente perché il tempo è una cosa di cui tutti vorremmo avere di più, ma che difficilmente riusciamo a permetterci.
[…] ho già raccontato di Brandwashed, l’ultimo libro del guru del marketing Martin Lindstrom. Se vi interessa un assaggio, leggete […]
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