Il Sole 24 Ore di domenica dedicava un’intera pagina ai refusi, quegli “errori di stampa” che una volta marchiavano per sempre un libro ma verso i quali pare esserci sempre più tolleranza, almeno da quando si è rotto il “patto tra libro come oggetto fisico e testo”, come scrive Massimo Gatta nell’articolo La perfezione perduta del libro.
Eppure il salto che facciamo e il fastidio che proviamo di fonte all’errore è sempre lo stesso.
Nei testi di un’azienda o di amministrazione poi – su carta o in bit non importa – un apostrofo di troppo, una mancata concordanza o una preposizione sbagliata, trasformano all’istante il fastidio in un calo di fiducia.
Diciamo che correttori di bozze oggi lo dobbiamo essere un po’ tutti. Per aiutarci, possiamo leggere i bei post che la correttrice di bozze Cecilia Nono ha scritto questa settimana come guest blogger del Faberblog del Sole 24 ore.
E per ispirarci, stamparci la bella citazione di Theodor Adorno con la quale Gatta comincia il suo articolo:
Non c’è correzione, per quanto marginale o insignificante, che non valga la pena di effettuare. Di cento correzioni, ognuna può sembrare meschina e pedante; insieme, possono determinare un nuovo livello del testo. Non essere mai avari nelle cancellature.
Mentre sto per chiudere questo post, fa capolino sul mio schermo l’ultimo di Luca De Biase. Segnala un articolo del New Yorker dedicato alla “bellezza” del fact checking, attività editoriale cugina della correzione di bozze, e in questa bellezza vede una componente importante della qualità dell’informazione:
Alla lunga, l’artigianato di qualità trova un suo posto nel sistema. Se si sa modernizzare e sincronizzare alle tensioni profonde del sistema e della società. Se conosce le tecnologie più avanzate. Se le sperimenta e si contamina con i saperi che emergono nella contemporaneità. E se mantiene l’orgoglio del suo specifico sapere di lunga durata. Anche l’informazione è in fondo artigianato: e anch’essa ha un sapere di lunga durata del quale si può essere orgogliosi. E che può trovare il suo posto nel sistema. Ispirando qualità.
Alto artigianato. Anche Cecilia Nono si definisce “artigiana” della parola.
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E’ sempre un piacere leggere i tuoi post Luisa!
Quando mi avvicino a un testo, è come se mi avvicinassi alla persona che lo ha scritto. La voce che sale dalla parole è forte e piena di sentimento, qualunque cosa ci sia scritto. Ogni parola non deve stonare e ogni concetto ha il dovere di essere preciso seguendo i criteri della grammatica della lingua cui appartiene. La perfezione è impossibile, ma avvicinarsi è un dovere per noi, artigiani della scrittura; per gli scrittori, anime che hanno messo nero su bianco le loro sensazioni e, soprattutto, per i lettori, che dedicano tempo e interesse al libro, magnifico oggetto, che per me sarà sempre di carta.
Un caro saluto a Luisa e a chiunque passi in questo meravoglioso luogo
Simonetta