“È l’orecchio, non l’occhio, l’editor finale.”
Lo afferma Don Murray, docente premio Pulitzer di scrittura giornalistica in un bellissimo libro di cui ho scritto tempo fa sul Mestiere.
Ed è anche la citazione di apertura dell’ultimo post di Ann Wylie, Write for the ear, dedicato all’editing fatto leggendo ad alta voce.
Ci sono molte cose di cui l’orecchio riesce subito ad accorgersi:
- errori che sono sfuggiti all’occhio, per esempio le concordanze, di genere e di numero
- rigidità dello stile, mentre in alcuni casi è importante che non solo sia fluido ma assecondi i ritmi della lingua parlata, per esempio in tutta la comunicazione online
- ridondanze e ripetizioni: l’occhio tende a concentrarsi sul particolare, mentre l’orecchio privilegia l’andamento, l’insieme
- cose sgradevoli da sentire: parole superflue, gerghi, forma passiva, periodi troppo lunghi che lasciano senza fiato.
Io sono sempre stata una fautrice della rilettura ad alta voce. Però in questi giorni in cui ho dovuto rileggere decine e anche centinaia di pagine, per di più scritte da me, mi sono resa conto che funziona al meglio se non hai testi troppo lunghi oppure se hai testi lunghi che puoi centellinare nel tempo. Altrimenti, la lettura ad alta voce dopo un po’ ti fa rimbombare le parole in testa e stanca assai.
Mi sono quindi temporaneamente convertita da editor declamante in editor ruminante.
Lettura silenziosa, almeno all’esterno, perché l’orecchio interiore possa fare meglio il suo lavoro.
… vallo a spiegare all’autore!