Mentre The Checklist Manifesto di Atul Gawande ancora mi guarda dall’alto della torre di libri in attesa, incrocio una bella intervista che un paio di anni fa Der Spiegel (niente paura, è in inglese) ha fatto a Umberto Eco sul controverso tema delle liste: We like lists because we don’t want to die.
Controverso perché le liste sono sempre più usate sul web e sulle slide, ma anche bistrattate e accusate di contribuire almeno un po’ agli eccessi di semplificazione e di schematismo di oggi.
Come nel suo bel librone La vertigine della lista, Eco ci ricorda i meriti della lista:
La lista è all’origine della cultura. È parte della storia dell’arte e della letteratura. E cosa vuole la cultura? Rendere comprensibile l’infinito. Vuole creare ordine — non sempre, ma spesso. E come esseri umani, come facciamo ad affrontare l’infinito? Come possiamo afferrare l’incomprensibile? Attraverso liste, cataloghi, collezioni nei musei, enciclopedie e dizionari. La lista non distrugge la cultura, la crea.
La lista è anche all’origine della scrittura. L’umanità se l’è cavata egregiamente con la trasmissione orale per un sacco di tempo, anche per tramandare lunghissimi e complicati poemi epici. È quando ha dovuto annotare e documentare vendite, entrate e uscite dai magazzini che si è messa a scrivere.
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