Ci sono immagini che mi accompagnano fin da bambina, opere d’arte che ho visto quando avevo meno di dieci anni e che hanno orientato i miei studi, nutrito le mie passioni, i miei viaggi e persino le evoluzioni del mio lavoro. Giotto ad Assisi, alcuni ritratti di Ingres, i piccoli giardini incantati di Klee, il periodo blu e rosa di Picasso, la Pietà di Michelangelo a San Pietro.
Quest’ultima l’ho ritrovata poche ore fa in una strepitosa conferenza di Claudio Strinati all’Auditorium Parco della Musica dedicata al rinascimento a Roma. L’intera sala Sinopoli piena e applausi a scena aperta. Non mi capitava da tempo di spellarmi le mani così, ma lo spettacolo meritava. La parola “spettacolo” può sembrare esagerata per un palcoscenico vuoto con un anziano signore che parla, e poche slide a fargli da sfondo. Lo spettacolo vero si è svolto nelle nostre menti ascoltatrici, trasportate dal doppio salto mortale che il brillante professore ci ha fatto fare con lui.
Dal 1499, quando il giovane Michelangelo scolpisce la Pietà e fa crollare Roma ai suoi piedi, al 1599, quando Stefano Maderno scolpisce la statua di Santa Cecilia. Stessa l’età dei due artisti: 25 anni. Stesso il materiale: il marmo bianco che si accende di luce. Stesse le protagoniste: due giovanissime donne, quasi due bambine.
In mezzo il rinascimento, la riforma protestante, il sacco di Roma, il concilio di Trento, gli affreschi della Cappella Sistina, l’intera opera di Raffaello.
A Giorgio Vasari, che gli faceva notare l’incongruità di una mamma bambina che tiene in braccio un Cristo trentenne, un ormai maturo Michelangelo rispose che allora non aveva capito proprio niente: quella bimba con gli occhi bassi rappresenta la funzione stessa dell’arte, cristallizzare il momento nell’eternità, fare da argine alla potenza distruttrice del tempo, fermare in una stessa opera l’inizio e la fine. Anche il bellissimo corpo di Cristo vive nella morte, perché il suo abbandono e la sua rilassatezza alludono alla vita, come il sonno rem precede il risveglio e il nuovo inizio del giorno. La perfezione dei corpi, per Michelangelo, è sempre al servizio delle idee. Tanto che durante la sua lunghissima vita gliene importerà sempre meno, all’idea bastano l’abbozzo e il non finito come nella Pietà Rondanini.
Esattamente un secolo dopo Roma è in piena controriforma, e gli archeologi scavano alla ricerca non più delle statue dell’antica Roma, ma dei corpi e delle reliquie dei martiri. Ne trovano, eccome. Il ritrovamento più spettacolare è quello di Santa Cecilia, una ragazzina intatta, avvolta da un lenzuolo, abbandonata come il Cristo della Pietà, anche lei rilassata nel sonno.
Tra i tanti che accorrono anche il giovanissimo scultore Stefano Maderno, che risponde subito all’appello quando si chiede agli artisti di immortalare il ritrovamento. Stefano chiude ciò che Michelangelo ha aperto con la scultura in bianco di una giovane donna. Ma mentre la Vergine era lontana e inaccessibile, un’abitante del mondo delle idee, Santa Cecilia è viva, palpitante, calda, vicina a noi, una di noi anche se non ne vediamo il volto. Ma se potessimo scoprirlo, cosa vedremmo? Un volto simile a quello della Vergine di Michelangelo, azzarda in chiusura il funambolico professore.
Siamo ormai alle soglie del barocco, il periodo più avvolgente e sensuale di tutta la storia dell’arte.
Ciao Luisa mi piace il tuo nuovo spazio in rete. Mi piace questo post che leggo in un font più antico che parla di arte e di bellezza autentica.
Altra epoca storica, altri anni: ho un bel ricordo di noi tre, tu, Francesco e io, a Roma a visitare la Domus Aurea. Bellissima e sono felice di averla vista grazie a te visto che ora, se non baglio, è chiusa .
Ti chiamo prima delle vacanze, un abbraccio, tua Mariella
Mariella,
sì, mi ricordo bene quella giornata. Ti aspetto per altre 🙂
Alessandro, hai ragione.
La font non è ancora quella giusta e nemmeno il colore.
Il grigino diventerà un bel nero.
Luisa
Salve Luisa,
la veste grafica del nuovo blog è molto graziosa, L’unico suggerimento che avrei da farle è di rendere i caratteri un pochino più nitidi: così come sono si “perdono” un po’ sullo sfondo chiaro, rendendo difficoltosa la lettura (almeno sul mio monitor).
Ringraziandola per il suo prezioso lavoro di blogger,
le porgo un caro saluto.