Dopo la bella recensione di Massimo Mantellini della biografia autorizzata di Steve Jobs scritta da Walter Isaacson, mi sono letta anche quella di Malcom Gladwell sul New Yorker.
Un pezzo lungo e molto ricco, che si apre con una lavatrice, tra i tanti oggetti delle ossessioni funzional-estetiche di Jobs.
Nonostante si parli del genio del fondatore di Apple, Gladwell definisce la sua sensibilità editoriale piuttosto che inventiva, come quella di editor bravissimi nel mettere le mani nei testi degli altri e capaci di stravolgerli, manipolarli e valorizzarli, ma incapaci di imbastire loro stessi uno straccio di storia dal nulla.
Jobs aveva bisogno di vedere prima qualcosa ideata da qualcun altro, per poi fagocitarla, farla sua e apportarvi quel minimo cambiamento che l’avrebbe resa unica.
Fece impazzire, tra gli altri, il copywriter degli spot dell’iPad, anzi gli disse brutalmente che le sue proposte facevano schifo. All’urlo di questi “Ma si può sapere lei cosa vuole?” si limitò a rispondere: “Mi faccia vedere qualche altra cosa, e lo saprò quando la vedo.”
Anche il famoso payoff Think Different fu oggetto di discussioni estenuanti con il team creativo dell’agenzia TBWAChiatDay. Alla fine la spuntò: la correttezza grammaticale avrebbe voluto l’avverbio differently, ma non con lo stesso significato che intendeva lui. Non pensare in maniera diversa, ma proprio tutto un altro ordine di pensieri.