Una volta si deprecava l’abitudine di rovesciare sui siti web i testi scritti per la carta. Contenuti verbosi e lunghissimi definiti shovelware, buttati lì a palate. Non vorrei che con le app si cominciasse a fare la stessa cosa.
L’ipad è diverso dalla carta e pure dal pc, perché lo scroll – chiamiamolo così – si può fare in quattro direzioni. Nuovi orizzonti, da sperimentare per gli autori, da esplorare per i lettori.
La app del Macro, Museo di Arte Contemporanea di Roma, non sperimenta, e non ci fa esplorare nulla. Riproduce in un lungo scrollone testi scritti in artecontemporaneese stretto e ci mette sotto uno sfondo nero, una pessima abitudine che hanno anche molti architetti di mostre. Il risultato è l’illegibilità.
Sono andata a rivedere l’app della mostra Abstract Expressionist New York del MoMA. In prima pagina un testo minimale, solo 13 righe, circondati dalle immagini delle opere. Cliccando su ognuna, appaiono altri piccoli testi di 15 righe al massimo, circondati da tanto bianco.
È vero che il MoMA ha ben altre risorse da dedicare alla comunicazione rispetto ai nostri musei, ma alcune cose non costano – per esempio un po’ di sano editing e lo sfondo bianco – e poi fare un’app in fretta e furia con quello che si ha mica è obbligatorio.