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risali negli anni

16 Agosto 2011

Mozartiano o beethoviano?

Alle prese con testi mooolto lunghi, in questo periodo sono particolarmente sensibile al tema della velocità della scrittura. Lo è anche Michael Agger, che nei giorni scorsi gli ha dedicato un brillante articolo su Slate: Slowpoke, How to be a faster writer.
Leggendolo mi sono consolata. Scrivere testi lunghi è una delle sfide cognitive più impegnative, anche per chi lo fa per mestiere, perché il cervello deve destreggiarsi contemporaneamente tra tre compiti diversi: scrivere il testo, pensare a cosa dire subito dopo, immaginare l’impatto del testo sul lettore.

Ognuno ha le sue strategie, riconducibili soprattutto a due tipi di scrittori: i progettisti, quelli che prendono note e fanno scalette prima di mettersi a scrivere anche una sola parola, e gli improvvisatori, che si buttano subito a scrivere perché solo così riescono a scoprire cosa vogliono dire.
Agger, rifacendosi allo psicologo Ronald Kellog, chiama i primi “mozartiani”, i secondi “beethoviani”. Strade diverse, ma stessa produttività.

Io sono un po’ a metà, perché dopo aver fatto mappe e scalette, all’interno dei loro confini mi lascio molto andare.
Quanto alla velocità, ho bisogno di cincischiare per un bel po’, anche un’oretta prima di partire, ma quando parto prendo velocità e allora non mi fermo finché non arrivo alla meta. Però col tempo ho imparato l’arte del cincischio utile: una piccola revisione o un post mattutino come questo.
Bene, ora non ho proprio più scuse: vado ad assumere la triplice veste di scrittrice, editor e lettrice.

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0 risposte a “Mozartiano o beethoviano?”

  1. E' curioso: uso anch'io da tempo le categorie mozartiano e beehtoveniano, ma in un ambito completamente diverso: le immagini fotografiche.

    Insegno fotografia (http://www.oltrefoto.it) (http://compagniadeifotografi.blogspot.com) e quando affronto la regia dell'immagine, il primo passo è quello di far capire il peso che il soggetto può avere all'interno dell'inquadratura.

    Immagine-beethoven è quella in cui il soggetto occupa quasi interamente lo spazio e l'occhio, quindi, non ha scampo: viene attirato inesorabilmente verso il centro. E' un'immagine che ha già (quasi) tutto dentro di sè. (Gli esempi che mostro in aula hanno come colonna sonora il primo movimento della Quinta sinfonia)

    Immagine-mozart è quella, invece, in cui il soggetto è più defilato, più aperto. Il suo rapporto con lo spazio dell'inquadratura è invitante: il vuoto (o i vuoti) intorno al soggetto chiedono allo spettatore di entrare nell'immagine, di percorrerla, di collaborare al suo significato. (Colonna sonora: il Concerto per flauto in Mi minore)

    P.S. Quali sono i riferimenti bibliografici di Ronald Kellog?

    Un cordiale saluto.
    Enrico Prada

  2. È veramente interessante quello che racconti, Enrico.
    Sono una capra assoluta in fatto di musica, ma mi è venuta subito voglia di andare a risentire i tuoi sfondi musicali.

    I riferimenti bibliografici di Kellog sono all'interno dell'articolo di Slate.

    Luisa

  3. Cara Luisa, questo è un commento svolinata, preparati!

    Ho fatto grandi pulizie di stagione sui link del mio blog ed il tuo è ancora tra i miei preferiti.

    Anche se ti seguo ormai da un anno solo ora decido di scrivere mossa dal sorriso che mi ha messo la situazione che descrivi nel post.

    Complimenti per il tuo lavoro, anche quando cincischi.
    F.

  4. Ciao Luisa,
    bentornata alle tue creazioni con penna e tasti:-)
    Ho scritto solo poche righe in questo mese di agosto affollato di amici, figli acquisiti e da crescere (più un nuovo gatto). Mi sono immersa in romanzi ma anche in libri e riviste di cucina: un piacere per gli occhi e per i sensi.
    Ti regalo una rIcettina che può aiutare i tuoi momenti "vuoti" tra un testo e l'altro: un po' di anguria, un po' di pomodoro cuore di bue (togli i semi), un po' di basilico, un filino di sale e di olio. Frulla il tutto e metti in frigo per 5-6 ore.
    Un abbraccio e buona scrittura,
    Mariella

  5. Buongiorno Luisa
    Io avevo sempre sentito parlare di "pantsers" (quelli che fly by the seat of their pants)  e "plotters" e mi spaccavo a testa per trovare un'immagine proponibile in italiano. Servite su un piatto d'argento, le categorie di Kellog mi sembrano davvero "parlanti", grazie.
    Giovanna 

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