L’angelo irrompe nella stanza di Maria in modo talmente irruente che il gatto scappa via e la povera ragazza, spaventatissima, ci rivolge con lo sguardo una richiesta di aiuto. Sì, proprio a noi, che stiamo al di là del quadro. Tanti, tantissimi, tutti diversi, dal 1534 fino a oggi.
Ma è proprio quello che il pittore, Lorenzo Lotto, desiderava: entrare in relazione con lo spettatore, sollecitare la sua partecipazione, attivare le sue emozioni e la sua memoria, come fanno le moderne opere aperte e concettuali.
Lo faceva scardinando ogni volta il modello iconografico dominante, anche se era quello dei mostri sacri del suo tempo, come Giovanni Bellini, Michelangelo, Leonardo, Tiziano. Lui li studiava e reinterpretava a modo suo, ma preferiva il dettaglio di Dürer alle loro pur grandiose e geniali sintesi e la luce tagliente dei nordici a quella avvolgente di Giorgione.
Scardinava i modelli sottilmente, per piccoli scarti. Per esempio con la asimmetria: qui, nell’Annunciazione di Recanati, Maria si rifugia su un lato e il centro del quadro, il suo punto focale, è occupato dal gattino che scappa.
Amava poi introdurre nelle sue opere mille piccoli dettagli, dal valore realistico e al tempo stesso simbolico, che invitano ancora oggi il fruitore a una sfida per ricostruirne il significato, come in un rebus. Anzi, a volte il gioco era proprio palese, e proprio un rebus.
Qui ci sono i libri, la candela e la clessidra a rappresentare la devozione e l’attesa. Altre volte bastano una manciata di rose e una lettera a raccontare una sofferenza d’amore. O una mosca, che si è appena posata sulla manica bianca del giovane pensoso. Il pittore ci sfida, ancora una volta, perché il nostro impulso è di squarciare lo spazio invisibile che ci separa dal quadro e scacciare con la mano quella mosca molesta.
I contemporanei di Lorenzo capivano meglio di noi la rete sottile di allusioni con la quale imbastiva i suoi quadri, dagli oggetti quotidiani ai simboli alchemici. I suoi committenti ne erano lusingati, soprattutto se ritratti.
Ma l’irretimento agisce anche su di noi, e la mostra straordinaria che le Scuderie del Quirinale dedicano a Lorenzo Lotto fino al 12 giugno è un incanto continuo dal quale sono riuscita a uscire solo dopo tre ore buone.
Questo pittore inquieto, che ha dipinto quasi esclusivamente soggetti religiosi e ritratto professionisti e borghesi di provincia mentre Tiziano si dedicava all’imperatore a cavallo e Michelangelo alla Cappella Sistina, ha dovuto aspettare la fine dell’ottocento per essere finalmente riscoperto, apprezzato, studiato.
Non c’è da meravigliarsi: Lotto era talmente avanti che in lui ci sono già Caravaggio, Rembrandt e Goya.
Il ritratto della sorella del vescovo De Rossi, un’umanissima geometria definita dalla luce, sembra dipinto dal nostro novecentesco Casorati.
Era solo il 1501 e Lorenzo aveva ventun anni.
L'esempio che avere coraggio e metterci del proprio alla fine paga!
ciao
Vidi una mostra di Lorenzo Lotto diversi anni fa. Ne rimasi molto colpita per i motivi che tu hai fatto scorrere nel tuo testo, con pasisone e devozione, come i grandi di un rosario.
Così le opere di Lorenzo Lotto mi si sono ripresentate davanti, come fosse poco fa, intense, moderne, profonde. Con la loro capacità di raccontarci emozioni semplici e personali, mettendo su tela l'anima più che l'estetica, dei perosnaggi di allora. Così somiglianti a noi da sentirli parenti.
Quindi, grazie mille.
Laura Grazioli