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risali negli anni

28 Gennaio 2011

La dura dolce vita del copywriter freelance

Questo post sarà lunghetto, vi avverto, ma ora che le cose brevi e fulminanti le scriviamo su Twitter, credo che almeno ogni tanto i post si possano prendere un po’ di sano respiro.

Prendo lo spunto da Write copy, make money, un libro che ho comprato sapendo di rischiare grosso, visto il titolo facilone. Però un’occhiata all’indice e al sito dell’autore Andy Maslen mi hanno ispirato fiducia.

Il realtà il titolo è uno specchietto per le allodole e la sostanza del libro è ben più seria, cioè considerazioni e consigli utili a chi vuole fare il copywriter freelance.
Predisposizione e capacità sono date per scontate, tutto il resto no ed è di questo che il libro parla, dallo spazio in cui si lavora alla gestione del tempo, dai canali e i metodi per farsi conoscere a quel grande e fondamentale tema che è il denaro. Tema sul quale vengo spesso consultata da giovani che si confrontano con la “quotazione” del proprio lavoro e non sanno come fare.

Io lavoro come freelance ormai da sei anni, quindi più che per imparare cose ex novo il libro mi è servito per confrontarmi, riflettere e anche fare il punto su alcune questioni.

Prima: l’autore e gli altri 16 professionisti britannici intervistati nel libro si definiscono copywriter, non business writer, eppure fanno tutti più o meno le cose che faccio io (testi per il web, brochure, naming… insomma scrittura di marketing più che pubblicitaria). Visto che i nomi e le etichette contano, una buona indicazione.

Seconda: come quota i suoi lavori un copywriter? Qui mi sono sentita totalmente confortata. Li quota non a parole, né a cartelle, né a ore, né a giorni. Li quota “a progetto”. Io ho sempre fatto così, istintivamente, perché mi è sempre sembrata la soluzione più professionale. Non vendo parole a peso, vendo me stessa, le mie letture, la mia attenzione, la mia esperienza, la mia pazienza, e il tempo che ci metto riguarda solo me stessa. Al cliente interessa il risultato e, quotando a progetto, il suo risultato diventa anche il mio.

Terza: Maslen indica come canali preferenziali per farsi conoscere il direct mail, la cold call (in pratica telefoni ai potenziali clienti), gli incontri diretti in occasione di formazione o convegni. Solo all’ultimo posto mette i blog e la rete. Leggendo le interviste agli altri copy mi sono resa conto che una metà è come Maslen, mentre l’altra delega tutto alle parole che scrive.
Io rientro nella seconda metà, ma non credo che ci siano dei canali più efficaci di altri. È una questione di carattere: chi è più sociale privilegia il contatto diretto, chi è più schivo si affida alle parole.
Io ho cominciato ad affidare il mio personal branding alle parole molto prima che questa espressione esistesse. Ha funzionato e mi ha fatto conoscere da tante persone che non avevano mai sentito la mia voce né visto la mia faccia. Per cui quando sono diventata freelance ho continuato così. Il tempo da dedicare al marketing di me stessa l’ho sempre dedicato alla scrittura dei post, dei quaderni, dei libri.

La seconda parte del libro è fatta di sedici interviste ad altrettanti copywriter. A ognuno un set standard di domande. Nelle risposte mi sono spesso riconosciuta, ma mentre leggevo mi veniva spontaneo rispondere anche io a quelle domande.
Allora ho pensato di farlo davvero, per me e anche per qualcuno di voi, aprendo così uno squarcio di vita professionale di cui raramente parlo in questo blog.

Da quanto tempo lavori come copywriter freelance?
Da quasi sei anni.

Cosa facevi prima?
Facevo la stessa cosa, ma all’interno di una grande azienda di servizi informatici. L’ho fatto per sedici anni.
In realtà – mi sono resa conto a posteriori – l’ho sempre fatto con la mentalità della libera professionista. Molto attenta al risultato, molto poco alle ore di ufficio. Se c’era un obiettivo da raggiungere lavoravo anche a casa, se ce n’era poco uscivo presto senza complessi. Ma l’ho fatto in un momento più felice per le aziende e con capi che capivano e apprezzavano. Dubito che oggi sarebbe possibile.

Cosa ti ha spinto a diventare freelance?
Un concorso di cose accadute quasi tutte insieme, che in un momento particolare della mia vita ho letto come un segno del destino, una congiunzione astrale che non si sarebbe più ripetuta.
L’ho colta, decidendo di andar via dalla sera alla mattina. In fila, ecco perché:
1. passavo un bruttissimo momento dal punto di vista personale, avevo visto il peggio e niente mi faceva paura, neanche non avere più lo stipendio a fine mese
2. ero arcistufa di scrivere sempre di informatica, sistemi informativi e servizi telematici, e mi sentivo inaridita
3. avevo un sito e un blog che in tanti leggevano e questo mi faceva sognare di poter scrivere anche per tanti
4. mi ero aggiudicata un piccolo lavoro, ma di grande prestigio, una cosa che mi incoraggiò molto
5. la mia azienda stava per essere venduta, e infatti lo fu, proprio il giorno dopo le mie dimissioni.

Avevi un business plan quando hai cominciato?
No, solo tanto entusiasmo e tanta incoscienza [qui mi sento confortata, perché nessuno degli intervistati nel libro lo aveva]. E non ce l’ho nemmeno ora.

Dove lavori?
A casa, su tre scrivanie attaccate ad angolo. Su una ho fatto i compiti fin dalla terza elementare, su un’altra cuciva mia nonna, sulla terza hanno scritto le donne della mia famiglia per almeno un secolo e mezzo. Intorno i libri, davanti il verde, dove appena fa un po’ più caldo piazzo il pc.
Però posso scrivere dappertutto e uno dei luoghi più produttivi è per me il treno.

Lavori da sola, con partner o hai una società?
Da sola, almeno per ora.
Ho cercato il cambio lavorativo soprattutto come cambio di vita, e ci sono abbastanza riuscita. Lavorare da sola è dura, ma mi fa sentire leggera e senza obblighi. Padrona di prendermi un periodo di studio, di dire di no se ho abbastanza lavoro per me.

Sei specializzata in un settore o generalista?
All’inizio mi consideravo specializzata in tecnologie perché ne avevo scritto per tanti anni, poi mi sono fatta portare dalla corrente e man mano ho scritto di tutto. Caffè, tappeti, liquori e cassate per citare cose più frivole, ma negli ultimi anni ho lavorato a lungo soprattutto nelle assicurazioni e le banche, per cui oggi mi ritengo abbastanza specializzata in questi settori. Ma mi piace sempre scrivere di tutto, perché scopro cose che non conoscerei altrimenti.

Lavori per agenzie o direttamente per i clienti?
Mai lavorato per agenzie, sempre contattata dai clienti, fin dall’inizio. Ma credo che c’entrino molto sito, blog e libri. Tutti mi hanno conosciuta così e mi hanno scritto direttamente. Dalla grande banca al produttore sardo di mirto.

Qual è la cosa più bella del lavoro freelance?
La libertà, in tutti i sensi. Quella di stare scalza, di alzarti per andare a fare una corsa se sei stata troppo seduta, di andare a yoga a ora di pranzo, di fare lunghe vacanze. Ma anche la libertà di non lavorare più per chi non ti piace e di fare di tutto per lavorare con chi ti piace. E infine la libertà di decidere tu cosa fare per superare un momento in cui lavori meno.

E la più brutta?
Quando non riesci ad alzare nemmeno la testa per quanto hai da fare e le scadenze incombono. Oppure quando un lavoro su cui avevi contato viene a mancare. Questo però mi faceva più paura all’inizio. Col tempo impari che le onde sono fisiologiche e che a un periodo più fiacco segue sempre uno frenetico. Il periodo fiacco di lavoro diventa così frenetico di studio e di nuovi progetti, ovvero quello che sognavi di fare quando non riuscivi ad alzare la testa.

Quali sono i tuoi strumenti di marketing?
Sito, blog, libri, ma anche anche interventi a convegni e corsi di formazione.

Quale funziona meglio?
Funzionano bene insieme. I social media non bastano e non basta affatto “esserci” con commenti brevi, retweet e segnalazioni. Io twitto volentierissimo, ma lo considero un’appendice telegrafica e al volo del blog. La reputazione te la fai nel tempo, dando prova delle tue competenze su testi più estesi e anche prendendo posizione, se necessario. E servono anche i libri: ci butti il sangue e ci passi blindata i weekend, ma in quei mesi che passi sola con te stessa e le tue parole impari e rifletti quanto in anni interi. Una volta che il libro è uscito, la tua autostima fa un bel balzo e in genere anche il tuo lavoro, perché ci sono clienti agli occhi dei quali sono i libri che contano, non i post.

Come ti fai pagare? A progetto, a ora, a giorno, a cartella?
Sempre a progetto, è più professionale. È vero che il rovescio della medaglia della quotazione a progetto è che alla fine saltano fuori più cose di quante avevi immaginato all’inizio, ma con l’esperienza la capacità di valutare l’entità del lavoro si affina e poi un buon metodo è quello di indicare delle quantità indicative nel contratto (per un totale di circa 30 pagine web di secondo livello, oltre alla home page e alla tagline). Se si sconfina troppo, i clienti seri lo notano e sono loro a proporre di integrare.

Quali sono le competenze e le capacità per riuscire?
All’inizio pensavo che essere bravi con le parole fosse tutto, o quasi. Nel mio caso, ho imparato che conta altrettanto:
1. essere capaci di parlare col cliente per capire qual è il problema che devi risolvere con i testi, spesso aiutarlo a focalizzare il problema e magari insieme fare il brief
2. rimanere calmi e tranquilli quando c’è un problema o un imprevisto (tipo l’ufficio legale stravolge la brochure all’ultimo minuto)
3. essere puntuali e precisi: rispettare le scadenze e trasmettere bozze chiare, senza mezzo refuso
4. saper spiegare con chiarezza il perché delle proprie scelte, soprattutto quando il cliente è perplesso o condizionato da altre persone
5. essere disponibili a effettuare i cambiamenti richiesti ma anche essere fermi nel dire qual è, a nostro parere, la soluzione migliore
6. essere curiosi, sia per studiare quanto c’è di nuovo intorno a noi, sia per accettare senza timori lavori in settori di cui non sappiamo assolutamente nulla.

Se cominciassi ora, cosa faresti diversamente?
Quasi nulla, sicuramente non un business plan 😉 Ma sarei meno timorosa circa la mia capacità di gestire più lavori contemporaneamente e di saper incastrare impegni e scadenze.

Che consigli daresti a chi vuole cominciare ora?
Soprattutto di essere prudenti, che vuol dire:
1. non abbandonare il lavoro ripetitivo e noioso per fare il grande salto creativo, ma cominciare a lavorare freelance – anche con sacrificio – tenendo i piedi in due scarpe finché non si è sicuri di avere un certo flusso di lavoro e di entrate
2. se ancora non si lavora, non disdegnare lavori affini e contigui in aziende e agenzie: si impara tanto sulle dinamiche all’interno un’organizzazione, il marketing, il design, la relazione con i clienti.
E infine di lanciarsi solo se si è sicuri di avere una buona tenuta emotiva.

0 risposte a “La dura dolce vita del copywriter freelance”

  1. Molto interessante la tua autointervista!
    Mi è piaciuta molto l'immagine delle tre scrivanie su cui lavori, così intrise di storia personale tua e della tua famiglia 🙂
    Su una cosa mi sento di dissentire: "accettare senza timori lavori in settori di cui non sappiamo assolutamente nulla". Non mi sembra una scelta vincente, credo al contrario che soprattutto un freelance, a prescindere dall'attività che svolge, debba sempre e solo accettare incarichi in ambiti in cui è super preparato e competente.
    Certo, può sempre studiare e approfondire per acquisire comtetenze in altri ambiti, ma mai lanciarsi in caduta libera accettando un incarico professionale in settori di cui non sa assolutamente nulla.
    Buon lavoro,
    Marco

  2. Ciao Marco,

    io invece penso che bisogna osare e per quanto mi riguarda l'ho fatto più di una volta.
    Per natura sono timorosa, ma ormai l'avere più volte osato mi conferma che parte del lavoro sono proprio la ricerca e lo studio.
    Non devi bluffare, lo devi fare in maniera trasparente.
    Il cliente intellegente vuole la tua competenza con il linguaggio, non la tua expertise nel campo ed è contento di darti documentazione utile, di fornirti le fonti giuste, di rispondere alle tue domande.
    Quello che gli restituisci a volte è soprattutto uno sguardo fresco sul suo settore, sui suoi prodotti, che è felice di condividere.
    Certo, ci vuole molto più impegno e studio da parte tua, ma ne vale la pena, soprattutto su progetti complessi e di lunga durata.
    Non credo sia un caso, ma i clienti con i quali ho poi instaurato quella che mi piace chiamare una vera "amicizia professionale" sono proprio quelli con i quali ho condiviso questa mia iniziale ignoranza.
    Buona domenica 🙂

    Luisa

  3. Ciao Luisa,
    da più di tre anni sono una copywriter freelance ma, a differenza da te, devo la mia autonomia lavorativa a una precarietà contrattuale che, da limitazione, ho cercato di trasformare in opportunità. Una scelta parzialmente obbligata ma che, dopo due anni di assestamento, ha anche portato i suoi vantaggi.
    Del resto, credo che la libertà di organizzarsi sia una delle precondizioni per la scrittura: questo, forse, è un mestiere slegato dai tempi di produzione e dalle regole quantitative che regolano altri mercati del lavoro. Cercare uno slogan, un head, scrivere quattro righe di testo per una bodycopy  e "vestire di parole" le aziende significa soprattutto poter seguire i tempi della propria creatività e avere delle ore a disposizione per nutrire questa stessa creatività. Certo, le logiche del mercato condizionano anche un freelance: alcuni progetti possono essere richiesti un giorno per il successivo e i ritmi sono anche peggiori di quelli di alcune aziende. Tuttavia, la possibilità di staccare dal lavoro per alimentare il nostro cervello con altri stimoli (un libro, una passeggiata, una nuotata…) è qualcosa che un contratto stabile in un'agenzia non consente. Come dire: la libertà di decidere del proprio tempo scioglie la Lingua e toglie le briglie alla creatività.
    Grazie per i tuoi consigli e la tua dedizione al blog
    Francesca Vittori

  4. Francesca,

    condivido tutto quello che scrivi.
    Sulla libertà, ma soprattutto sullo studio, che è gran parte del nostro lavoro.
    Nel mio caso, col tempo sta prendendo sempre più spazio. Man mano che vai avanti scrivi e produci più velocemente, in particolare quando scrivi su campi e prodotti che conosci, e il tempo che liberi lo puoi utilizzare per studiare.
    Solo che in questi tempi veloci ho sempre la sensazione di rimanere indietro su tutto.

    Ciao 🙂

    Luisa

  5. Cara Luisa,
    grazie per averci rivelato un altro pezzetto di te. Bella l'immagine delle tre scrivanie 'vive'. Mi chiedo e ti chiedo: quanto l'organizzazione dello spazio influisce sulla qualità, efficienza del tuo lavoro? Il modo in cui sono disposti libri, penne e tutto ciò che ti ispira? Il silenzio, la musica, il verde? Il mio sogno è poter disporre di un angolo tutto mio, ma forse è solo un alibi per giustificare l'assenza di creatività o di impegno e se uno vuole lavorare, può dovunque. Che ne pensi?

    Grazie
    Raffaella

  6. Raffaella,

    sì, credo che lo spazio conti, ma non è poi così essenziale.
    Io adoro scrivere all'aria aperta ma, come ho scritto, posso farlo benissimo anche in treno.
    Lo spazio conta soprattutto come elemento della disciplina, fondamentale per un freelance, visto che nessuno sta lì a controllarti…

    Luisa

  7. Gentilissima Luisa,
    grazie di tutti i consigli e gli strumenti che continua generosamente a mettere a disposizione fuori e dentro la rete. Per me, e credo per moltissime altre persone che lavorano nel campo della comunicazione e dell'editoria, con il suo lavoro è un esempio e uno sprone. Non le nascondo che aggiungerei, a quelle riportate, questa domanda: mi prenderebbe a lavorare con sé? 😉
    Continui, continui, continui così!
    Giuliana Salerno
     

  8. ciao Luisa,
    ottima cosa questa. Capita raramente ormai che  un professionista condivida certi "segreti" professionali con il prossimo, anche se piu' che segreti sono consigli ma sul forum di lavoricreativi ho spesso visto molti miei colleghi rispondere a male parole a chi chiedeva informazioni…mettendosi quasi sul piedistallo (peccato che poi passassero il tempo a lagnarsi con scuse del tipo: ho "sfortuna", ci vogliono le raccomandazioni e le conoscenze, oppure considerando il cliente una sorta di coglione che non capiva nulla e al quale loro erano superiori) diciamo un atteggiamento dicotomico dagli effetti devastanti.

    Io la penso come te, e' importante trasmettere conoscenza ma soprattutto creare un rapporto e un dialogo costruttivo con il cliente…del quale in prima istanza siamo consulenti. Va da se che piu' facciamo domande…(risultando spesso rompiballe) piu'  lavoriamo bene e in maniera funzionale all'obiettivo, piu' il cliente ha successo ed e' quindi soddisfatto. Ne consegue quindi che il suo successo e' anche il nostro successo.

    Altra cosa che io ritengo importantissima e' dare il buon esempio. Vale a dire comportarsi con la propria promozione e comunicazione strategica come ci comporteremmo con il cliente….
    Ho sentito spesso molti miei colleghi sostenere che il marchio e i biglietti da visita per loro stessi sono cose inutili, spesso manco hanno un sito. A me questo atteggiamento suona come se andassi da un dentista che con i denti cariati si raccomanda per l'igiene orale.

    Personalmente sono una fanatica del business plan ma ritengo che il business plan serva piu' per progetti d'impresa piu' complessi dove entra in gioco la produzione. Mentre per una professione freelance dove serve un pc e la propria testa…sia sovradimensionato.

  9. Cara Luisa.
    Studio in una scuola di comunicazione e da pochi mesi mi interesso di scrittura, un po' perché le sto provando tutte per capire cosa farò "da grande", un po' per curiosità.
    Ho iniziato dunque a seguire svariati blog tra cui il Suo e questo post in particolare mi ha interessato. Come leggevo in un commento precedente, pochi sono i professionisti che raccontano volentieri i loro esordi, e i pochi che lo fanno, lo fanno quasi sotto torchio.
    È interessante invece capire cosa serve e come lo si deve utilizzare per iniziare una carriera freelance, secondo me la più ambita dai neofiti nonché da me.
    Perciò grazie di questo post.

    Mattia

  10. la cosa triste Mattia e' che non e' che l'ambiente poi offra molto a livello di impiego dipendente…se non stage su stage ovviamente non regolamentati e non legali dove di fatto con la scusa di "fare esperienza nella grande agenzia" ti sfruttano e ti spremono come un limone per poi scaricarti perche' non ci sono soldi per assumere.

    Lavorare come autonomi diventa quasi una scelta obbligata. E non e' detto che tu abbia l'inclinazione per farlo. Perche' per lavorare da imprenditori di se stessi e' necessario esserci predisposti perche' altrimenti diventa un inferno….vice versa capita lo stesso inferno per chi non e' predisposto al lavoro dipendente e fa il dipendente.

    Non c'e' nessuna colpa in questo eh…pero' bisogna essere realisti e non c'e' nulla di male a preferire ed essere predisposti ad un modus piuttosto che l'altro.

    Il problema sostanziale con i giovani che si avvicinano alle professioni della comunicazione e della pubblicita' e' che e' sopravvissuto il mito del "pubblicitario" degli anni '80… mito secondo il quale si fanno un sacco di soldi senza molti sforzi.

    E' purtroppo  vero il contrario e a questo si aggiunge il problema che solo negli ultimi tempi  vi e' una crescita delle risorse nell'ambito della cosiddetta "cultura d'impresa" perche' altrimenti l'humus culturale e' quello che la pubblicita' e' inutile per non parlare del mal costume di considerare noi "creativi" scansafatiche che non lavorano e quindi li si paga un po' quando conviene. Risultato e' che meta' del tuo tempo va ad essere impiegato a rincorrere i clienti. e diventare un esperto del recupero crediti.

    In italia sembra che se fai un lavoro che ami e quindi ti diverti,  il tuo lavoro non ha valore…ha valore solo se fatichi, se odi il tuo lavoro e quindi il valore e' tangibilmente dimostrato dal sacrificio che fai nell'assolvere ai tuoi doveri.

    In bocca al lupo…
    🙂

  11. Morias mi trovi d'accordo con te in tutto ciò che hai scritto.
    Vedo sempre più persone che studiano comunicazione sostanzialmente perchè il grafico viaggia tanto, ha tanto tempo libero, fa gli orari che vuole e guadagna bene, però, per fortuna di chi, come me, nemmeno le sapeva queste cose quando ha iniziato a studiare grafica, e perciò scelse con altri criteri, poi questi personaggi vengono ripagati con il lavoro dipendente di cui parlavi prima. Ovvero, non si appassionano e non acquisiscono e coltivano le doti necessarie a lavorare come freelance o comunque a livelli alti e passeranno la vita a eseguire ordini e portare a termine commesse senza voce in alcun capitolo, per carità, massimo rispetto per tutti, potrei finire anch'io così. Punterei un pelino più in alto però.

    Purtroppo in Italia viviamo di stereotipi, chiunque faccia un lavoro creativo non fa un cavolo tutto il giorno, chi non è dottore, farmacista, dentista, avvocato fa lavori di scarso rilievo e guadagna poco. Dovremmo invece iniziare ad aprire un po' gli occhi. Questo risolleverebbe secondo me almeno in parte la situazione odierna, meno giovani inquinerebbero le scuole perchè se non studi non arriverai mai ad avere una vita dignitosa, si ripartirebbe meglio la forza lavoro, distribuendo meno lavoratori per ogni settore e ne guadagnerebbe la qualità del lavoro in ogni campo. Meno lavoratori a scopo puramente lucroso potrebbe significare più gente che riesce ad appassionarsi a quello che fa, quindi risultati migliori.
    Sbaglio?

    Quest'anno a giugno finirò il mio Master, sono curioso di vedere cosa riuscirò a combinare dopo.

    Mattia

  12. A dire il vero, non ho svelato alcun segreto professionale. Ho solo condiviso pensieri e riflessioni su questo blog, come faccio da tanti anni.
    Lo faccio perché aiuta soprattutto me a chiarirmi le idee e perché condividere mi fa piacere e non mi toglie assolutamente nulla.
    È vero che conosco pochi professionisti italiani della scrittura e della comunicazione che condividono, ma ci sono e li segnalo sempre quando li incrocio. Ma che ci importa poi, quando con la rete possiamo spaziare in tutto il mondo?
    Ecco, se posso aggiungere ancora qualcosa per i più giovani è questa: cominciare, affermarsi e poi stare bene a galla è difficile e lo è sempre stato, per tutti. Passione, studio e costanza servono sempre, e a tutti. E poi non è nemmeno detto che bastino.
    Io ho avuto la fortuna di cominciare in un periodo meno affollato – l'ho raccontato altre volte -, ma poverissimo di opportunità di scambio e di studio. Voi queste cose invece le avete: usatele! Tutte.
    Io continuerò a condividere: se non facciamo questo, a che caspita ci servono tutti 'sti social media? Solo per il chiacchiericcio?

    Luisa

  13. Interessante.
    In tutta questa descrizione accurata intravedo molta dispersione di tempo e un essere eccessivamente in balia del "cliente".
    In bocca al lupo per tutto 😉   

  14. @a quanto ne so Mattia…col cavolo che i grafici viaggiano tanto e hanno molto tempo libero…chi si illude di sta cosa gia' in una una scuola di grafica seria si accorge che di tempo libero cen'e' poco (avevo un prof. serio che ci faceva disegnare i caratteri a mano  e poi tutte le gabbie di impaginazione con gli ingombri…and so on c'e' poi psicologia e pianificazione, fotografia e comunicazione visiva e disegno professionale). Poi quando comincia a lavorare si accorge che purtroppo non e' così e che visto il guadagno si scorda anche di viaggiare nelle vacanze.
    @Luisa…penso che nella scrittura come nel disegno ognuno abbia i propri segreti commisurati al proprio stile e la propria personalita' anche svelandoli ognuno poi si crea i suoi…il mio termine era sarcastico nel senso che spesso il semplice condividere serenamente riflessioni di vita vissuta e' quasi come rivelare chissache'. Se penso che alle elementari cel'avevo contro la pubblicita'…hihihihihihihi
    @maso: si e' in "balia" del cliente sinche' esso ci deve spiegare cosa vuole e noi bisogna comprenderlo…poi si spera che esso si  fidi delle nostre soluzioni (ma se si crea un bel rapporto di fiducia…), siano esse visuali o di scrittura. Io lo vedo come un lavoro in tandem con il cliente. Piu' tempo si "spreca" a capire bene quello che vuole, magari con domande specifiche e mirate, migliore e' il lavoro. per lui e per noi.

  15. P.s. io parlo per me e per il mestiere di grafica…il copy ha altre cose da fare, alcune che si sovrappongono a quelle della grafica (come il saper osservare), altre piu' specifiche della sua parte.

  16. @ Luisa, ok, non avrai condiviso chissà che segreto ma è già un punto di partenza l'esperienza altrui. Sopratutto se ben fruttata!

    @ Morias…dicevo appunto che si pensano quelle cose.
    Anche se cnosco parecchi grafici e tutti fanno una vita che altri si sognano, quello che, i giovani che si avvicinano a questo mestiere per quell'apparente benessere, dovrebbero vedere è tutto quel che ci sta dietro. Si alcuni fanno gli rari che vogliono e tutto quello che abbiamo detto, ma di fondo c'è un gran lavoro più continuo di quel che si può immaginare e un talento e una cultura coltivati giorno dopo giorno. Si pensa spesso invece che il diploma, quel pezzo di carta che ti dice che sei un grafico, basti per aprirti le porte a una vita meravigliosa…balle! Scusate il francesismo.

    Ad ogni modo sono ottimista e curioso.

  17. Questo mestiere come qualsiasi professione fatta a regola d'arte…(ma anche trasgredendo le regole quando occorre) necessita di passione profonda. completa dedizione.

  18. forse ci siamo fraintesi maso…
    per me quei clienti non esistono. Non li cago nemmeno di striscio. Così come non cago quelli che non sono disposti a perdere un po' di tempo per definire le cose, così come non cago quelli che non pagano nei termini e fanno i furbi…per poi "offendersi" se gli dico che cose come stanno.

    Raus!

    A quel punto la do via a pagamento, che mi pare piu' dignitoso, per me e la mia dignita' e per la mia professione.
    tanto il mestiere piu' vecchio del mondo non conosce  mai crisi…

    😉

  19. Cara Luisa,
    ma come si fa secondo te a capire quanto un committente è disposto a pagarti un lavoro? Ultimamente ho chiesto venticinque euro ad articolo (di 1000 battute) per una richiesta complessiva di dodici articoli al mese. Il committente non ha battuto ciglio e ho capito che probabilmente avevo chiesto troppo poco.
    Grazie,
    Francesca

  20. Salve,
    pur seguendo da anni questi stralci della vita di una vera copywriter e il sito con i suoi suggerimenti sempre interessanti, è la prima volta che scrivo un commento. E più che un commento è un'invocazione. Sigh!
    E la faccio prendendo spunto proprio dalla difficoltà di quotare correttamente il proprio lavoro.
    Se per la scrittura di testi per il web, mi sono regolata come Francesca e in qualche modo me la sono cavata, ora sono le prese con un pay off. Entro domani devo definire il MIO prezzo per scriverne uno… help? Qualcuno ha trovato un metodo pseudo scientifico per dare un valore a quello che scrive?

    Valentina

  21. Francesca e Valentina,

    piacerebbe a tutti avere delle belle tabelline pronte all'uso per quotare i lavori, ma non esistono.
    A quotare si impara anche saggiando e provando. Se il cliente non ha battuto ciglio, con il prossimo alzerai un po'.
    Io ho imparato così, e tuttora a volte sbaglio in un senso o in un altro.
    Col tempo si sbaglia sempre meno.
    Le variabili in gioco sono tante – tue e del cliente – e vanno valutate ogni volta.
    In bocca al lupo!

    Luisa

  22. Ciao Luisa,
    grazie per questo bel momento di condivisione e per averci proposto un altro interessantissimo libro.

    In merito alla questione del tariffario questa è, e forse resterà, una delle questioni più spinose del nostro lavoro. Sob!

  23. no scusa, dopo 2 settimane dalla consegna delle mie dimissioni leggo questo, e dici di tenere i piedi in due scarpe?!? L'avessi letto prima 🙂
    Davvero, io ci ho provato ma per me è infattibile: troppe distrazioni da una parte e dall'altra…
    Quindi ho tagliato i ponti e vediamo come va, senza business plan 🙂

  24. Cara Luisa,

    ciao. Mi chiamo Francesca e sono titolare di un’ azienda agricolo-agrituristica vicino a Verona. Ti scrivo perchè mi piace moltissimo leggerti e lo faccio da circa 10 anni, esattamente da quando ho iniziato a scrivere testi per il mio sito web. Il mio sito è ovviamente dedicato alla mia azienda ed i testi che ho creato sono testi specificatamente dedicati al turismo, agli itinerari consigliati in zona ed ai servizi offerti dalla nostra azienda. Di fatto da allora sono innamorata della scrittura. Quando scrivo mi sento bene, vivo veramente e pienamente. Amo leggere e studiare da sempre e tu mi doni sempre nuovi stimoli. Mi piacerebbe trasformare questa passione in un lavoro. Secondo te è possibile ? Mi piacerebbe davvero tanto poter iniziare una nuova attività legata alla scrittura di testi per il web. Secondo te posso farcela? e come dovrei iniziare. Scusa Luisa so che questa domanda è retorica e ti sarà stata posta miliardi di volte ma conoscere la tua opinione in merito mi aiuterebbe a prendere la strada giusta. Grazie Luisa per il tuo tempo. Un carissimo saluto Francesca Vecchioni

    • Ciao Francesca,

      tutto è possibile, ma sinceramente è difficile perché il mercato è diventato affollatissimo.
      È d
      ifficile sostenersi con il solo lavoro di scrittura, ma se tu hai già la tua azienda e vuoi comunque inseguire una passione, certo che vale la pena di provare.
      Un carissimo saluto a te, in bocca al lupo!

      Luisa

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