Di previsioni di inizio anno per giornalismo, scrittura e copywriting il mio aggregatore era pieno zeppo. A un certo punto ho preso tutti i post e li ho incollati in un file word uno dopo l’altro, fuori contesto, così come venivano.
L’inno all’assoluta brevità dei testi, agli ebook di 20 pagine al massimo e al predominio di grafica e infografica mi hanno abbastanza sconcertata. Tutte cose vere, verissime, ma non assolute né esclusive. Anzi.
Quelle del testo breve e dell’unione tra testo e immagine sono arti raffinate e sottili, che per raggiungere vertici comunicativi setacciano prima una grande quantità di dati testuali e visivi e richiedono grande capacità discriminatoria.
Non solo, testi brevi e testi lunghi ora più che mai sono chiamati a convivere sulla pagina (di carta o di bit, non importa) e a darsi una mano gli uni con gli altri.
Ci pensavo questa mattina, mentre mi leggevo Il Sole 24 Ore nel verde di Villa Borghese.
Il Sole si è molto webbizzato, nel senso che è sempre più scritto e organizzato per lettori abituati a leggere molto “anche sullo schermo”.
I microtesti abbondano: schede, domande e risposte, titoli e sottotitoli, caption, didascalie di ogni tipo. E così le immagini, dall’infografica alle piccole illustrazioni a colori che ora accompagnano persino la (una volta) austera pagina con le lettere al direttore.
Ma a guardar bene sono proprio quei microtesti a guidarci verso la lettura di testi lunghi e molto approfonditi, come dei piccoli assaggi confezionati per farci venire una gran voglia di leggere oltre.
Oggi soprattutto una pagina mi ha catturata, dedicata a una storia di parecchio tempo fa, la guerra di secessione americana.
In testa a tutto due titoletti, come un header:
Sangue. Più morti di tutti gli altri conflitti Usa messi assieme
Diritti. Nate le idee di nazione, libertà e centralità del popolo.
Sotto, una scheda in sei capitoletti – ognuno con suo titolo – con lo svolgimento della guerra, dall’elezione di Lincoln all’abolizione della schiavitù. Sintassi semplice, lessico preciso.
Al centro, un lungo articolo di Christian Rocca il cui titolo si riallacciava perfettamente ai due titoletti di apertura:
La grande guerra che fece l’America
La vittoria unionista contro i sudisti costò 617mila vite ma affermò i principi fondamentali
Articolo approfondito e particolareggiato, ma preparato dallo studiato corredo di microtesti e da bellissime foto d’epoca. Pagina prima da guardare, poi da leggere, e alla fine magari da ritagliare e portare in un’aula scolastica.
Del resto, ci sono anche i dati a smentire la tendenza “brevi sempre e a tutti i costi”.
Il settimanale britannico The Economist, strapieno di testo, ha aumentato vertiginosamente le copie vendute (e le pagine internet viste) negli ultimi due anni senza rinunciare minimamente al suo tradizionale rigore e alla capacità di approfondimento.
Un altro caso esemplare di settimanale in crescita con tanti ma tanti testi lunghi è quello del nostro Internazionale, che attraverso la penna del suo direttore così racconta, nel numero in edicola, il successo di un altro grande settimanale europeo:
Qualità
Il primo articolo che ha scritto per un giornale tedesco era su Angelo Branduardi. “Terribile”. Giovanni di Lorenzo ha 51 anni e gli ultimi sei li ha passati alla direzione della Zeit, il tempo, uno dei più importanti settimanali tedeschi. Diverso dagli altri in tutto. Tanto per cominciare nel formato: un lenzuolo, come i quotidiani di una volta. E poi perché è uno dei pochi giornali che negli ultimi due anni non ha perso copie. Anzi, ne ha guadagnate. Il 2010 è stato l’anno migliore della sua storia. Mezzo milione di copie vendute ogni settimana, con moltissimi lettori tra i venti e i trent’anni. In un’intervista al quotidiano spagnolo El País, Di Lorenzo spiega il segreto del successo: non dare ascolto ai consulenti, continuare a pubblicare articoli lunghi e spesso difficili, occuparsi di argomenti non necessariamente legati alla stretta attualità. Orientare e approfondire, cercando di differenziarsi dagli altri. E internet? Die Zeit ha una redazione web di sessanta persone, ma per ora internet non produce utili. “Solo la qualità porta soldi”.
Sono assolutamente d’accordo con te Luisa. Aggiungo anche che la qualità di un giornale e’ anche nel modo in cui viene scritto. A mio avviso i testi possono anche essere lunghi sulla carta ma devono essere oltreché interessanti anche ben scritti. Il piacere di leggere passa anche dalla chiarezza espositiva, dalla fluidità del testo e dal coinvolgimento che se ne trae. Personalmente, poi, l’eccessiva schematizzione dei giornali oggi mi provoca un certo fastidio. Saluti. Marta