Il verbo all’infinito sarà indispensabile, poiché, tondo come una ruota, adattabile come una ruota a tutti i vagoni del treno delle analogie, costituisce la velocità stessa dello stile. Il verbo all’infinito nega per sé stesso l’esistenza del periodo ed impedisce allo stile di arrestarsi e di sedersi in un punto determinato. Mentre il verbo all’infinito è rotondo e scorrevole come una ruota, gli altri modi e tempi del verbo sono o triangolari, o quadrati o ovali.
Lo scriveva un secolo fa Filippo Tommaso Marinetti, quando immaginava il linguaggio adatto a un mondo di macchine, tutto accelerazione, potenza e velocità.
Ora anche il mondo della scrittura e della lettura si è messo velocemente in moto: testo in movimento, filmati nelle pagine, scrittura collaborativa, crowdediting.
La lettura segue e gli scienziati osservano le evoluzioni velocissime del cervello che legge.
Eppure nella comunicazione di moltissime organizzazioni pubbliche e private sembra non essersi mosso ancora nulla: i testi continuano a essere pesanti muri di parole, dalla sintassi complicata, dal lessico gergale o astratto. Letti alla luce del carosello che sta avvenendo di fuori, sembrano testi di un’altra epoca.
Ma il testo non diventa leggero e dinamico solo in virtù di pagine rutilanti e layout liquidi. Ci sono una leggerezza e un dinamismo che nascono dall’interno, che si ottengono solo lavorando dentro il testo, e che si addicono soprattutto ai testi più tradizionali, lunghi e complessi: progetti, report, verbali, memo.
Le chiavi sono tante, ma una delle più importanti e delle più semplici – i futuristi l’avevano già indicata: i verbi. Tondo, triangolare, quadrato o ovale, il verbo è la parola, il cuore pulsante, il motore del testo.
Invece i testi aziendali e amministrativi sono pieni zeppi di sostantivi. La radice st-, fin dal sanscrito, indica stabilità ma anche immobilità.
Se queste riflessioni mi sono tornate oggi in mente è perché su questo tema ho letto una bella pagina del libro Italiano di Massimo Birattari:
I suffissi come -zione sono estremamente produttivi nell’italiano di oggi. Non c’è niente di male a usarli; però è opportuno, se vogliamo raggiungere l
‘obiettivo di una lingua chiara e precisa, evitare gli abusi. Le parole formate con questi suffissi (in particolare –zione e –izzazione) finiscono spesso, infatti, per trascinarsi dietro una serie di problemi.
Intanto, mostrano una misteriosa tendenza ad attrarsi a riprodursi, a presentarsi a coppie o a gruppi (avrei potuto scrivere, per confermare la regola, “all’attrazione, alla riproduzione, alla presentazione in coppie e gruppi”). Il risultato è una serie di parole lunghe, ingombranti e che rimano tra loro (proprio come accade agli avverbi in -mente).
…
Non è solo un problema di rime sgradevoli. Le parole in -zione e -izzazione sono sostantivi astratti e una serie simile di parole astratte rende astratta, cioè lontana dalle cose e dai fatti, anche la lingua (sarà un caso, ma i suffissi -zione e -izzazione abbondano nei discorsi o negli scritti di politici e socialogi). Se volete che le vostre frasi siano più vicine alle “cose”, provate a sostituire i nomi in -zione non indispensabili con verbi (cioè con “azioni”).
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