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risali negli anni

21 Aprile 2010

Alle radici dell’eterna multimedialità

Un colore si vede, eppure possiamo dire che è “chiassoso”, “stridente”, o “caldo”, “freddo”, come se facesse rumore o sprigionasse calore. Diciamo che un  silenzio è “freddo”, “glaciale”, parliamo di un suono come se lo palpassimo (“suono vellutato/morbido/aspro”), lo vedessimo (“voce chiara/cupa”), ne sentissimo i gradi di calore (“voce calda/fresca/fredda”). Di un profumo diciamo che è “fresco/dolciastro/amaro”. Prestiamo caratteri gustativi (“amaro/acido/salato”) a cose che non si possono assaggiare: “un sorriso amaro”, “parole acide”, “prezzi salati”. In quanto a dolce, è capace di opporsi da solo agli altri tre gusti o sapori che abbiamo appena nominato e alle loro varietà (aspro, asprigno, secco ecc.). Se poi riflettiamo sulle sensazioni che possiamo esprimere impiegando l’aggettivo dolce, ci accorgiamo che queste non riguardano solo il gusto (“un sapore, un cibo dolce“), ma si estendono a tutte le facoltà di percezione (possono essere dolci una luce, una musica, un contatto, un profumo), alle situazioni, agli individui e agli oggetti più disparati: si può avere un carattere dolce, essere una persona dolcissima; può essere dolce un paesaggio, una discesa, una curva, un declivio; sussurrano parole dolci, si è in dolce compagni, si ha un dolce ricordo, e c’è la “dolce vita” immortalata nel film di Fellini e, ad altezze vertiginose, la notte leopardiana: “Dolce e chiara è la notte e senza vento”.

Mi ha dato un grande piacere non solo leggere questo brano, ma anche copiarlo carattere per carattere per questo post. È stato un po’ come assaporarlo e farlo mio.

Così Bice Mortara Garavelli introduce il capitolo sulla sinestesia nel suo Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche.

Ho letto quasi tutti i libri della professoressa Garavelli, tranne il fondamentale Manuale di retorica. Consultato sì, tante volte, ma a leggerlo nel vero senso della parola non ci sono mai riuscita. Ora credo che lo farò, perché questo manualetto è come un’introduzione divulgativa e leggera al manuale, anche se è stato scritto parecchi anni dopo.

Questa volta sono le figure retoriche a venire verso di noi, mostrandosi come nella vetrina e negli scaffali di un negozio. Scorrerle è facile e afferrarle dallo scaffale pure. Il negozio è piccolo ma strapieno di cose meravigliose, di quelli in cui ci passeresti giorni interi e poi ci torni e ci ritorni. Perché ti riempi gli occhi e le orecchie, oltre a capire all’istante cose su cui hai tanto faticato:

Le figure del discorso sono paragonabili alle figure geometriche: hanno una struttura che possiamo descrivere nelle sue regolarità; sono forme astratte, esemplari, a cui possiamo ricondurre i lineamenti e le raffigurazioni degli oggetti più disparati. D’altra parte esse richiamano le figure della danza, della ginnastica, del pattinaggio, dello sci nautico, della scherma: forme disegnate da immagini in movimento, riconoscibili perché eseguite secondo regole precise, benché con innumerevoli variazioni stilistiche.

In pieno trionfo di multimedialità, che bello studiarne la forma più antica, quella che le sole parole fanno da sempre vivere nell’immenso teatro della mente!

0 risposte a “Alle radici dell’eterna multimedialità”

  1. il copia-incolla che hai fatto dal libro di Mortara Garavelli mi ha incuriosito: e a pensarci bene è vero tutto quanto viene detto, Che bella cosa è la parola!ciao

  2. Le sinestesie mi hanno sempre affascinato.Ti segnalo un libro di Aleksandr Lurija: "Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla". E' il caso, descritto dallo psicologo russo, di un uomo in grado di ricordare – ad esempio – lunghe sequenze di numeri, o di sillabe senza senso, a settimane, mesi, anni di distanza. Il suo "metodo", nel corso di trent'anni di osservazioni, si rivelò essere di carattere sinestesico.Ti riporto un bel passaggio:"Che voce gialla e friabile è la vostra.Vi sono persone che sembrano avere molte voci, che producono quasi una composizione musicale, un bouquet di suoni… Ci sono voci instabili; esse cambiano venti o trenta volte in un sol giorno… Gli altri non se ne accorgono ma io lo sento. Appena una parola viene pronunciata, io la vedo e se all’improvviso interviene un’altra voce, si formano delle macchie, s’insinuano delle sillabe estranee e a questo punto io non capisco più niente… Ogni rumore mi disturba… Si trasforma in linee e mi confonde… Mi capita di dire una parola e subito mi si parano davanti agli occhi delle linee… Le tocco… si dissolvono un poco, a contatto con la mano… vien su del fumo, della nebbia… E quanto più sento parlare, tanto più difficile diventa… Ecco che, del significato delle parole, non mi resta più niente…"CiaoStefano

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