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risali negli anni

6 Aprile 2010

Di cosa parliamo quando parliamo di cultura

Intanto bisognava costringere gli autori a scrivere non più di 100 cartelle. Un quarto del libro doveva essere destinato alle illustrazioni, ai grafici, ai disegni. Il testo doveva essere rigidamente ancorato al massimo di leggibilità, rispettando quelle tecniche che in inglese si chiamano “plain language” e oggi preferiamo chiamare “scrittura controllata”. Le frasi non dovevano oltrepassare le 25 parole e le parole dovevano aderire a quel vocabolario di base, che intanto stavo cercando di costruire, un vocabolario delle circa 6-7000 parole di uso più frequente e più familiari. E le parole che eventualmente non fossero contenute nel vocabolario andavano spiegate nel contesto o con le illustrazioni.

Nel libro-intervista La cultura degli italiani, a cura di Francesco Erbani, Tullio De Mauro racconta così quella straordinaria avventura editoriale che furono I libri di base degli Editori Riuniti alla fine degli anni settanta.

Sono le stesse regole che applichiamo oggi quando redigiamo le guide ai cittadini, facciamo formazione alla scrittura in un ente pubblico o in una grande azienda che deve farsi capire dai suoi clienti. Eppure a quasi tutti sembrano delle grandi novità e trovi pure chi storce il naso. Se poi, ai manager che storcono il naso, citi un paio di dati sul livello di alfabetizzazione degli italiani, fanno tanto d’occhi così.

In un altro capitolo del libro, De Mauro lo sintetizza benissimo:
I dati mostrano che soltanto il 20 per cento – 20,2 per l’esattezza – possiede le competenze minime di lettura, scrittura e calcolo indispensabili a muoversi in una società complessa: riescono cioè a leggere un grafico, controllare i conti forniti dall’impiegato in banca, leggere e capire un testo in prosa, un giornale, un avviso o un’istruzione. Oltre al 5 per cento di totali incapaci di identificare lettere e numeri, vi è una massa enorme di popolazione in piena età da lavoro, il 74 per cento, che, pur avendo conquistato elevati titoli di studio, ha difficoltà grandi a capire o scrivere un semplice testo (analfabeti funzionali pari al primo livello) o ci riesce assai male ed è definita con un eufemismo sociologico “a rischio di analfabetismo di ritorno”.

Se si potesse fare una “nuvola di parole” del libro, analfabetismo campeggerebbe insieme a cultura e scuola. Ma non è affatto un libro pessimista, anzi ha una sua levità, si legge benissimo ed è pieno di idee per il nostro futuro.
Guarda avanti, ma va alle radici di tanti nostri malesseri di oggi e soprattutto racconta i tanti, troppi, fallimenti della nostra scuola negli ultimi decenni. Lo stato miserando di oggi, la politica dei tagli, sono solo un punto di arrivo cui tutti più o meno hanno concorso.

Ma incontrerete anche figure bellissime: don Lorenzo Milani, i grandi pedagogisti delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia, i maestri di strada di Napoli. E gustose memorie personali del decano dei nostri linguisti.

0 risposte a “Di cosa parliamo quando parliamo di cultura”

  1. I libri di base degli Editori Riuniti! ci ho costruito interi pezzi della mia "cultura generale", e anche vari successi scolastici alle superiori 😉

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