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risali negli anni

19 Febbraio 2010

Un’antica e luminosa parola

Non sono mai stata troppo a mio agio con la parola “semplicità” a proposito della scrittura.
Semplicità di cosa e rispetto a cosa? Ho sempre preferito la parola “chiarezza”, più precisa, che abbraccia un po’ anche l’obiettivo comunicativo e il destinatario.

In realtà tra me e me di parola ne preferisco e ne pronuncio un’altra: nitore.
Tra me e me un po’ da sempre ma soprattutto da quando, qualche mese fa, ho osato pronunciarla di fronte a un gruppo di funzionari di un’azienda italiana. Tutti laureati, pensavo di potermelo permettere.

“Niii… cheee?” ha esclamato un giovanotto in prima fila. Più che l’esclamazione mi ha spaventato l’espressione.
“La prossima volta morditi la lingua” ho mormorato a me stessa e sono passata rapidamente all’aggettivo nitido. Il giovanotto finalmente sembrava afferrare qualcosa, ma ormai ero stata bollata come una signora antiquata e un po’ bislacca.

L’altro ieri però ho osato di nuovo, e ho fatto benissimo.
Stavolta sono stata più coraggiosa e invece di buttare lì timidamente la parola, sono andata subito alla lavagna e ho scritto al centro, bello grande, NITORE.

Cosa vi viene in mente?
Pulizia.
Linearità.
Eleganza.
Chiarezza.
Definizione.
Luminosità.

Essenzialità.
Trasparenza.
Piacevolezza.
Alta definizione.
Contorni precisi.

Suono cristallino… e parecchie altre interessanti associazioni.

Tempo tre minuti e avevamo la nostra mappa di lavoro e il nostro obiettivo, cui abbiamo fatto riferimento per tutta la giornata, man mano che affrontavamo i diversi problemi dei testi: la formattazione, lo spazio, la struttura, il punto di vista del lettore, la precisione lessicale, la semplicità (questa sì) sintattica, il messaggio, la visione, il ritmo e persino la bellezza.
Che bello!

0 risposte a “Un’antica e luminosa parola”

  1. E’ proprio una bella parola, Luisa. La tenevo per me, ma leggendo la tua riflessione mi rendo conto che vale la pena pronunciarla: pazienza per chi non la capisce (però così ha l’opportunità di impararla), meraviglia per chi la recupera.
    Ciao
    Monica

  2. Invece a me ha colpito un’altra parola che hai scritto, "luminosa".
    Mi ha colpito perché la sento ormai usare tantissimo, soprattutto fra persone colte e raffinate o che si danno un tono da tali.
    "Una luminosa giornata"
    "Un luminoso abbraccio"
    "Un augurio luminoso"
    "Una luminosa amicizia"
    "Un’idea luminosa"
    Che ne pensi? Siamo tutti diventando più luminosi?

    Giada

  3. Il mio professore d’italiano soleva romperci continuamente le scatole con un certo de saussure e puntualmente ci faceva l’esempio di un dotto del seicento che viene scippato e per chiedere aiuto si mette a gridare:

    " al furo, al furo, all’involatore di marsupio!!!!"

    Nessuno naturalmente se lo fila e il "furo" si allontana con il bottino.

    Cosa c’entra?

    Cercando "nitore" con google, la prima pagina riserva collegamenti a pagine che spiegano il significato della parola, ma non ci sono pagine in cui questa parola viene usata. Forse è caduta un po’ in disuso, che ne pensi? E forse viene spontaneo guardare attoniti a chi usa termini tanto desueti, a meno che non voglia fare sfoggio di bravura.

    Anche io una volta ho usato un termine stupefacente ottenendo in cambio  in cambio gli stessi sguardi: contransmagnificagiudomtabanzialità. Anche in quel contesto c’erano tutti laureati (futuri dirigenti della Pubblica Amministrazione) ma ben pochi di loro si erano cimentati con l’Ulisse di Joyce. E allora? beh la mia intenzione era proprio spiegare come scrivendo documenti destinati al pubblico, certi termini non dovrebbero essere usati ma sostituiti da terminii ugualmente efficaci ma più comprensibili.

    Pulizia.
    Linearità.
    Eleganza.
    Chiarezza.
    Definizione.
    Luminosità.
    Essenzialità.
    Trasparenza.
    Piacevolezza.
    Alta definizione.
    Contorni precisi.

    Non credo che l’uditorio fosse all’oscuro del significato di questi termini (oddio, tutto è possibile) ma il tutto sarebbe stato più efficace.

    Dirac, sosteneva che per ottenere buoni risultati fosse necessario ricercare la bellezza delle proprie equazioni. Pensa solo alle due equazioni fondamentali della fisica, meccanica e quantistica:
    F=g*((m1*m2)/(r*r))
    e = mc2

    Oppure: cogito, ergo sum

    ….

    Ecco.
    La semplicità. Quella dovremmo cercare.
    La comprensibilità. Da parte degli altri.

    Buona notte

  4. Sono in totale disaccordo con il primo commentatore. La gente che sutdia comunicazione in azienda deve conoscere una parola non così desueta come nitore e così ricca, e bella. Se non la conosce, ben fa mestiere di scrivere a farla inghiottire a quelle fauci ignoranti!:)

    P.S.
    Una cosa sono le parole di cui c’è un equivalente più comune. Un’altra sono le parole che portano un bagaglio di significati non riassumibili da altre parole. Nitore è una di queste ultime. Perderla è peccato. Dichiararla morta perché poco usata è da ignoranti à la Grande Fratello.

    Alessandro Longo

  5. Grazie per il "complimento" (ignoranti à la Grande Fratello).

    Questo non  fa che confermare quello che penso. Alcune persone usano la lingua, il gergo, per pretendere di scavare un fosso tra sé e gli altri, ritenendo di essere superiori, non si sa in base a quale criterio.

    In questo caso mi vengono in mente due situazioni diverse:
    – L’azzeccagarbugli di Manzoni (il latinorum, ecc.)
    – Il film dell’Archibugi, in cui la nuora di Mastroianni lo accusa (a mio parere correttamente) di essere razzista nei confronti di chi è dotato di minori strumenti culturali

    Riguardo alla comunicazione in azienda, generalmente accade che i cosiddetti comunicatori siano in realtà appartenenti a due categorie:
    specialisti chiamati a comunicare i propri lavori, i progetti e i risultati. La tendenza iniziale di queste persone è di essere estremamente tecnica ed incomprensibile ai più ma essere compresa dalle interfacce naturali (avvocati, commercialisti, ingegneri, ecc.)
    comunicatori in senso stretto, che non capendo molto della materia si industriano a mettere in "presunta" bella copia gli scritti degli specialisti introducendo errori, approssimazioni ecc.

    Nessuna delle due condizioni è ottimale. Molte amministrazioni, stanche della vacuità dei documenti aziendali, hanno preferito riqualificare i propri specialisti dotandoli delle competenze comunicative adeguate ad ottenere risultati suffficienti. Certo i risultati non sono all’altezza di un Gadda, ma si capiscono. E’ ben evidente, tuttavia che queste persone, professionisti formati (erroneamente, ché la competenza comunicativa dovrebbe essere un attrezzo di qualunque mestiere) nelle proprie materie "principali", messe di fronte a parole che il mio vecchio vocabolario definisce "letterario", quindi di per sé stesso specialistico (della branca della letteratura) possano strabuzzare gli occhi. Ma lo fanno esattamente come quando si parla di eptopascal o di terabyte.

    Io non sono uno specialista letterario (appartengo alla categoria appena descritta) e mi trovo spesso a dover illustrare progetti, programmi, ecc. Non posso delegare questa funzione ad uno specialista della comunicazione perché in caso di richieste di chiarimenti, obiezioni, approfondimenti, ecc. la competenza primaria richiesta non è quella comunicativa ma quella specialistica. Ebbene, anche se le mie interfacce sono laureati (Economisti, Ingegneri, Laureati in legge, Laureati in Scienze politiche, forse anche laureati in lettere), evito accuratamente parole che possano essere fonte di distrazione rispetto al mio discorso principale.

    In altre parole non userò erubescenza (s.f. (lett.)) ma userò piuttosto ….

    Non ritengo di essere superiore a nessuno se non guardo il grande fratello (che comunque fa degli ascolti strepitosi, molti più, ad esempio, di passepartout).

    Per quanto riguarda la diffusione di alcune parole, quelle utili nei registri comuni sopravvivono, quelle che sono invece non comuni, piano piano scompaiono. Ma non credo che sia un male. Semplicemente è la vita. Altrimenti oggi parleremmo ancora latino, o forse etrusco, o forse … chissà cosa c’era prima. Non potremmo riempirci la bocca di meeting, breefing, brainstorming, bossing, mobbing, footing, running.

    Che vita sarebbe?

  6. Brava Luisa. Hai trasportato il Nitore dalle parole ai fatti. Lo sforzo di uno specialista della comunicazione è tutto lì, in quell’operazione di accompagnamento, quasi maieutica, verso una nova spiaggia lessicale. 

    Buttare lì i termini e poi scappare questa sì è arroganza, coinvolgere le persone è invece a mio parere l’essenza della comunicazione.

    Su basi diverse e pur simili, riusciamo perino a farci intendere da altre specie animali. Non è certo per la semplicità del lessico che questo tipo di comunicazioni tra diverse forme di vita hanno successo o meno.

    ciao

  7.  NITORE.

    Che bella parola. E hai ragione uno stile non deve essere semplice, ne’ facile. Uno stile è quello che l’autore è, e deve risplendere, deve essere nitido.

  8.  cara luisa, spesso parlo di te, della tua generosità nel comunicare i tuoi saperi  e le tue scoperte, del tuo stilesemplice e chiaro, ricco di contenuti e piacevole seppur essenziale…beh da oggi dirò che hai uno stile nitido!!!! …è vero e so che ti farà piacere:-)
    simonetta felli

  9. Cara Luisa
    volevo farti i complimenti per il blog veramente bello, interessante, intelligente e curato.
    Trovo però che la parte dei commenti non sia molto curata. Molti scrivono semplicemente "bello, grazie!" e non penso necessitino di risposta. Non mi piacciono nemmeno i blog con 2368 commenti per post dove quasi subito la gente inizia a litigare tra loro.
    Però, visto che tu non hai tanti commenti, penso che qualche volta dare una risposta a chi ti fa una domanda non sarebbe male.
    I miei blog preferiti sono quelli in cui c’è una ricchezza anche nei commenti, con approfondimenti, risposte a domande, spunti di discussione ulteriore. Penso sia questa la bellezza dei blog. Non penso debbano essere dei forum, ma penso una gestione attenta dei commenti possa essere uno strumento in più, che fa uscire da una visione unilaterale delle cose.
    Perché lasciare cadere nel vuoto la domanda di chi ti chiede se hai letto un libro, di chi ti chiede delucidazioni su una parola, o anche di chi scriveche non è d’accordo?

    A ogni modo, complimenti per il lavoro.
    Paolo

  10. Caro Paolo,

    a una domanda così diretta non posso sottrarmi e ti rispondo con sincerità.
    Non intervengo quasi mai nei commenti per varie ragioni, nell’ordine:

    1. il tempo che potrei dedicarvi è davvero molto poco e se devo scegliere tra scrivere un post, aggiornare una pagina del sito, segnalare una cosa interessante o commentare i commenti, commentare i commenti – sono sincera – viene per ultimo; credo che anche la maggioranza dei lettori preferiscano una cosa nuova e originale rispetto a un po’ di commenti miei

    2. la caratteristica del mio blog, da sempre, non è quella di lanciare quesiti, provocazioni e discussioni, ma di lasciare una traccia delle mie riflessioni e delle mie letture, che mi fa piacere condividere; ognuno può lasciare la sua, di traccia

    3. ho i miei dubbi che la sezione commenti di un blog come questo sia il luogo migliore per confrontare idee e opinioni, tanto che all’inizio volevo fare un blog senza commenti… tutti sono liberi di dire la loro, ma so che nessuno cambia idea attraverso un confronto su un blog, tantomeno io 😉

    Non è una posizione snob, credimi, ma solo la consapevolezza di quello che realmente nella mia quotidianità posso e non posso fare. Come sapete tutti, non sono una studiosa né un’esperta in linguistica o un guru della comunicazione, ma solo una persona che lavora come voi e che quando ritiene di avere trovato un buon attrezzo per fare meglio lo mette sullo scaffale dove chiunque passa può prenderlo liberamente. Tutto qui.

    Detto questo, grazie: farò comunque tesoro della tua osservazione e prometto che dedicherò ai commenti più attenzione e… loquacità.

    Luisa

  11. Grazie mille per la gentile risposta!

    Evidentemente io ho in mente una visione molto diversa dei blog: per me non c’è dubbio che fra lo scrivere un nuovo post e rispondere a un commento – non a uno generico ma a una domanda – la priorità assoluta sia quella di rispondere alla domanda. E se qualcuno ha avuto il tempo e la voglia di commentare un post secondo me va in qualche modo valorizzato.

    Anche perché, come lettore di questo blog, solo a stare su questo post, mi sarebbe piaciuto sapere che cosa ne pensi della parola "luminosa" di cui chiedeva Giada o della questione se un manager debba oppure no sapere la parola "nitore".

    Il fatto che sei una che lavora nel campo, e non un guru, rende ancora più importante il confronto. Almeno di sicuro fino a che si parla di una decina di commenti. 🙂

    Ma questa è solo la mia idea e ovviamente ben rispetto la tua (anche perché il blog è tuo!). Solo che sento questa dimensione di confronto che manca.

    Grazie mille e buon lavoro (e giuro che non esigo in nessun modo una risposta!)

    Paolo

  12.  Buonasera Luisa,
    stamattina ho letto alcuni articoli di un mensile di arredamento. Di solito, rimango incantata dalle foto che narrano: ristrutturazioni, materiali innovativi, colori, forme d’avanguardia.
    Tuttavia, mi imbatto in un incipit: 
    "Un grande living infulcra la composizione planimetrica del piano terra; …".
    Ora, quel "infulcra" è un mistero. Non riesco a trovarlo nel dizionario.
    Mi potresti illuminare? 
    Se vuoi, se puoi, …

    Simonetta

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