Lo sapevo già, ma nel primo capitolo del Manuale di stile dei documenti amministrativi di Alfredo Fioritto è scritto con chiarezza cristallina:
Qualunque tipo di testo giuridico, atto amministrativo, legge, contratto o sentenza che sia, le parole del diritto, cioè i concetti necessari ed essenziali del diritto, variano tra i 2,5 e il 4%. I dati coincidono e le percentuali sono analoghe nei diversi paesi: questo vuol dire che, in un testo a carattere giuridico, su 100 parole soltanto 3 o 4 al massimo sono concetti del diritto e corrispondono a locuzioni che non possono essere espresse in altro modo. Le restanti 96 parolesono termini non necessariamente tecnici che potrebbero essere scritti in un italiano, in un francese, in un tedesco, in un inglese comune, cioè in quella fascia di linguausata dalla maggioranza della popolazione che si riconosce in quella comunità linguistica. Il linguaggio del diritto necessario è riferito a quattro parole ogni 100 e non c’è bisogno di usare uno stile arcaico, di usare perifrasi, modi di dire incomprensibili ai più e stratificati nel tempo perché tutto ciò non ha nulla a che vedere con il diritto: si tratta di un gergo che può essere modificato senza perdere la tecnicità necessaria e reale, quel necessario tecnicismo che i testi giuridici devono comunque avere per essere legittimi.
Mi accingevo a una doverosa lettura di studio, invece il libro si sta rivelando quasi appassionante. Fa piazza pulita di un sacco di luoghi comuni: i testi giuridici in inglese sono sempre più chiari di quelli in italiano, in un testo giuridico si può semplificare ma fino a un certo punto, il burocratese è un linguaggio tecnico-specialistico e quindi quasi intoccabile pena la perdita di informazioni e chiarezza.
Altri pregi del libro: moltissimi esempi e riscritture per i più diversi tipi di documenti amministrativi, un intero capitolo sull’aspetto visivo dei testi e un’attenzione davvero nuova per lo “sguardo” di chi legge, la capacità di dare molte indicazioni redazionali precise ma all’interno di una cornice culturale e sociale che fornisce mille motivazioni alla necessità di scrivere chiaro.
Non mi chiaro se quel che segue i due punti sia un elenco dei luoghi comuni da sfatare o di nuove "verità".
Occorrerebbe una riflessione sul perché nonostante gli sforzi si ripetano, sempre a spese dei contribuenti, da un quindicennio, il problema cui il manuale citato vorrebbe offrire soluzione, peraltro sempre la stessa, resta insoluto.
Infine, un’osservazione sui numeri. Statisticamente, il 4% non è poco. Anche da un punto di vista dei sempre citati, quantunque inutili, indici di leggibilità, un’incidenza di quella portata è significativa. 100 parole corrispondono a circa 1/3 di pagina, più o meno a tre paragrafi, a 15 righe. 4% vuol dire quasi una riga a pagina; e poi, parliamo di parole o di termini/concetti, e invece di "locuzioni" (per definizione, due o più parole) non si poteva usare, che so, "espressione"? Medice, cura te ipsum.
Sempre sul tema "semplificazione" della lingua e dei documenti rivolti al pubblico generale, sto leggendo Un treno di sintomi di Luca Serianni. Qui si prende di mira il lingiaggio dei medici, tra tecnicismi specifici (irrinunciabili) e tecnicismi collaterali (decisamente, almeno secondo Serianni, da abbandonare). A volte è un po’ "estremista", ma è una delle migliore letture che ho fatto ultimamente in campo professionale.
[…] proprio un professore di diritto, Alfredo Fioritto, nel suo Manuale di stile dei documenti amministrativi è chiarissimo al riguardo: “In qualunque tipo di testo giuridico, atto amministrativo, legge, […]