La Columbia Graduate School of Journalism di New York attrae studenti da tutto il mondo e sono sempre di più quelli non di madrelingua inglese. Per questo l’anno accademico 2009-2010 è stato aperto da una lecture di William Zinsser su Writing English as a Second Language.
La trascrizione è lunga, ma merita la lettura. Io stamattina, per avviare la giornata scribacchina, ne ho tradotto le conclusioni, che condivido parecchio. Soprattutto il fatto che proprio la molteplicità delle piattaforme digitali che distribuiscono e distribuiranno sempre più le nostre parole ci impone di tornare ai “fondamentali”, e questo in particolare per chi insegna e per chi impara.
Qualcuno di voi, sentendomi raccomandare così caldamente di scrivere in Plain English, si sarà sorpreso a pensare: “Era così ieri. Oggi il giornalismo è digitale e io sono venuto alla Columbia proprio per imparare a fare giornalismo sui nuovi media. Le basi della scrittura non sono più così importanti.”
Io penso invece che imparare a scrivere in maniera semplice e chiara sia oggi ancora più importante. Vi chiederanno di fare e montare video, fotografie, audio, e di integrarli con i vostri articoli. Qualcuno – voi – dovrà scrivere le parole per quei video e quegli audio. Testi che dovranno essere snelli, precisi e coerenti: sostantivi concreti, verbi forti e attivi che portino avanti la storia e creino aspettative su ciò che sta per succedere. Questi principi valgono e varranno per ogni formato digitale. Nessuno si soffrma su un sito che non appare subito chiaro. Chiarezza, sintesi e ordine sequenziale sono decisivi per il vostro successo.
Ci tengo a sottolineare queste cose perché il principale problema che paralizza gli studenti non è come scrivere, ma come organizzare ciò che stanno scrivendo. Scelgono una storia, raccolgono milioni di note e citazioni e una volta finita la loro ricognizione spesso non hanno idea del tema essenziale e di quale forma narrativa scegliere. Il primo paragrafo contiene informazioni che dovrebbero stare a pagina cinque, mentre quelle di pagina cinque dovrebbero stare all’inizio. Sono storie che sembrano svolgersi fuori dallo spazio e dal tempo: i protagonisti potrebbero stare a Brooklyn come a Bogotà.
L’epidemia che più mi preoccupa non è l’influenza A. È la morte del pensiero logico. Credo che una delle cause sia che oggi attingiamo le informazioni da tante finestre sovrapposte e pop-up durante la navigazione, frammenti di testo o persino di telefonate. Ma la scrittura è lineare e sequanziale. Dopo la frase A viene la frase B, e dopo la frase B viene la frase C. Alla fine c’è la frase Z.
La parte più difficile della scrittura non la scrittura, è il pensare. Ma tutto diventa più semplice se alla fine di ogni frase ci si ferma e ci sia chiede: e ora cosa vuole sapere il lettore?
Un consiglio che può aiutarvi: una frase per ogni concetto. Quando leggiamo possiamo elaborare un pensiero alla volta. Date ai lettori il tempo per questa elaborazione. Siate grati al punto fermo. Scrivere è difficile per tutti noi, perché una volta partiti, tendiamo a divagare: invece del punto usiamo la virgola, seguita da una congiunzione e così ci perdiamo in una terra selvaggia da dove è difficile tornare indietro.
Facciamo del punto il nostro consigliere: non esiste frase troppo corta agli occhi del Signore.
GRAZIE!!!
Andrea C
Ma sante parole davvero 🙂 Grazie della traduzione!
[…] Memorie di un nonagenario Back to basics […]
L’ha ribloggato su paolabellettie ha commentato:
Quanto ho da imparare ancora!
[…] al corso di giornalismo della Columbia University mi entusiasmò, tanto che ci scrissi subito un post. Un signore così anziano chiamato a ispirare i giovani futuri giornalisti della scuola più […]
[…] Lo leggerò nei prossimi giorni insieme all’altro libro che ho ordinato in quest’ultima tornata: On Writing Well, un classico della scrittura non fiction che ha più di 35 anni ormai, scritto dall’ottuagenario William Zinsser, professore alla scuola di giornalismo della Columbia University che i lettori di questo blog hanno già incontrato. […]