“Tutti discutono la mia arte e affermano di comprenderla, come se fosse necessario comprendere, quando invece basterebbe amare.”
Tra le tante, belle e brevi, citazioni che accompagnano il visitatore lungo il giardino dipinto della mostra milanese dedicata alle Ninfee di Monet, questa mi ha dato la chiave per la mia visita di qualche giorno fa.
Mi sono semplicemente lasciata andare e mi sono seduta per tutto il tempo che ho voluto di fronte alle 40 tele provenienti dal Museo Marmottan di Parigi, le incisioni dei maestri giapponesi Hiroshige e Hokusai, le prime fotografie di giardini, parchi, strade e montagne del Giappone che si era appena aperto all’occidente.
Se non lo sapessimo, probabilmente non riconosceremmo subito le forme dei fiori, dei ponticelli e degli alberi. Il tuo sguardo sprofonda in colate di glicine, intrichi di liane di ogni sfumatura di verde, improvvise illuminazioni di carminio e di giallo accecante. Non ci sono confini, se non quelli fisici della tela.
Eppure il giardino di Giverny dove il padre dell’impressionismo si ritirò nella seconda parte della sua vita era ordinato e studiatissimo, nella sua scansione vialetti, file di alberi, aiuole fiorite.
Il famoso stagno delle ninfee era solo l’ultima aggiunta, al di là della ferrovia, di un intero microcosmo fatto di casa, studio, orto e giardino. Non pretesto alla pittura, ma luogo autentico della vita, dove ogni particolare era curato in prima persona, come le piante fatte venire appositamente dai vivai giapponesi.
L’ispirazione di questo orizzonte vicino veniva infatti da un mondo lontanissimo. Eppure il Giappone fu per Monet, come per Van Gogh, il varco verso la rivoluzione, la chiave dell’arte non rappresentativa, ma espressiva. Come la Polinesia per Gauguin, l’Africa per Picasso.
Ma se nelle loro stampe Hokusai e Hiroshige andavano per sottrazione, Monet va per esplosioni. I maestri giapponesi tolgono, limano, ritagliano e soprattutto definiscono anatre, peonie, foglie d’acero, crisantemi e glicini fino a estrarne l’essenza e a far affiorare l’universale da un unico particolare.
Monet disfa le ninfee nello stagno, le confonde contro le altre tante quinte del giardino, le frantuma nella luce che cambia in ogni momento del giorno. “I capricci del cielo sono i semi dell’arte” aveva scritto Basho, il grande poeta seicentesco di haiku.
Siamo nell’impermanenza di tutte le cose, nella pupilla del pittore, nel cuore della sua tavolozza, trasportati dritti dritti dentro la pittura informale del novecento.
Quella pittura anticipatrice fu amatissima dai contemporanei, e soprattutto dal primo ministro francese Clemenceau che ci scrisse un memorabile saggio e le spalancò le porte dell’Orangerie quando Monet, alla fine della prima guerra mondiale, per onorare la vittoria, donò alla Francia i 22 pannelli delle Ninfee per una lunghezza totale di 90 metri.
PS In questo blog qualche volta me la prendo con i corredi testuali delle mostre, ma questa merita veramente un plauso.
A partire dalla perfetta “linea del tempo” che inquadra le Ninfee nel contesto cronologico della vita di Monet e degli avvenimenti dell’epoca alle didascalie dalla sintassi semplice, le parole giuste, la giusta grandezza per la lettura a distanza. Fino alla pianta del giardino di Giverny e alla semplice ma ottima idea di mettere a disposizione di tutti, su un grande tavolo (in mezzo, non alla fine del percorso), la rassegna stampa della mostra su dei bei fogli staccati e plastificati che ti puoi leggere lì o portarti appresso durante la visita.
Tanto impegno divulgativo ha i suoi effetti: la mostra era piena di bambini, anche molto piccoli.
Ecco dove ti eri cacciata! A Milano alla mostra. Mi eri mancata… brava e complimenti, come sempre per quello che scrivi e come lo scrivi (pssst… il link non porta al sito della mostra).
Mariateresa
Monet è il mio pittore preferito… lo adoro!!! Lo scorso autunno ho ammirato i suoi quadri, assieme ad altri impressionisti e surrealisti, ad una mostra al Mart di Rovereto… e sapere che a breve ce ne sarà un’altra mi ha reso davvero felice! Anche se, ad essere sincera, più che le Ninfee ed i Glicini, adoro i paesaggi con le sue damine… divino!
ciao
Sono stata a Giverny in giugno: i posti sono proprio come li hai descritti. Ma mi ricordo della visita anche e soprattutto per la professionalità e la passione della guida francese: raramente mi è capitato di apprezzare tanto una visita guidata.
Claudia
mi hai convinta ci vado!
son capitata per caso nel tuo blog dopo aver cercato la frase di monet,che vedo ci colpì entrambe.
son assolutamente d’accordo con quanto hai scritto, fu una mostra divina,ben organizzata e soprattutto dava modo e tempo di entrare nella mente di un pittore"infinito"in tutte le sue forme.
ti ringrazio perchè leggere questo tuo post mi ha riportato a quelle due ore passate fra i suoi giardini,colori,nature.
amo monet ma ancor più amo vedere come c’è ancora chi tanto riesce ad apprezzare l’arte e coglierne le sfumature per arricchirsene.